
Il boomerang del Manifesto di Ventotene
Chi ha strappato i capelli, altrui. Chi è scoppiato in lacrime in Parlamento, non è chiaro se per nostalgia o crisi nervosa. Chi ha affrontato lo scirocco e i marosi in pellegrinaggio per raggiungere il venerato suolo dell'isola. Persino lo studio di Lilli Gruber, sacro ad ogni sinistra, è stato profanato dall'ira del prof. Cacciari, tra gli sguardi smarriti dei presenti.
Diciamo una cosa: fino alla settimana scorsa il «Manifesto di Ventotene» lo avevano letto davvero in pochi. Neppure chi lo citava ad ogni piè sospinto forse lo aveva davvero sfogliato tutto. E se il combinato disposto della piazza che lo sventolava orgogliosa come simbolo di puro europeismo e il dibattito in Parlamento fossero stati una strategia per ridare vigore in libreria al testo, la mossa sarebbe stata da dieci e lode. Lo stratega della comunicazione avrebbe meritato un premio in busta paga.
Invece credo che meriti un licenziamento in tronco: perché l'idea di nascondere, dietro un testo antico, le divisioni moderne, si è dimostrata un boomerang e ha prodotto un corto circuito nella sinistra in cerca di temi comuni.