PADOVA. Come 37 anni fa, quando Vincenzo Gallucci eseguì il primo trapianto di cuore in Italia, l’Azienda Ospedale Università di Padova torna a scrivere un nuovo capitolo di storia dedicata al cuore. Lo ha fatto l’11 maggio, quando il professor Gino Gerosa, direttore della Cardiochirurgia, con la collaborazione dell’Anestesia di Treviso guidata dal dottor Paolo Zanatta, ha eseguito il primo trapianto di cuore da donatore a cuore fermo controllato.

Banalmente, si direbbe da cadavere. Ma la situazione è molto più complessa. «Ci sono Paesi in cui l’attesa dopo lo stop del cuore è di 2, massimo 5 minuti, qui in Italia ne sono previsti 20. Quindi abbiamo abbiamo studiato e lavorato intensamente per superare questo ostacolo e abbiamo dimostrato che anche in Italia si può fare questo tipo di trapianto» commenta il professor Gerosa all’incontro cui hanno preso parte anche il governatore del Veneto Luca Zaia «emozionato e orgoglioso per questo traguardo» e il direttore generale dell’Azienda Ospedale Università Giuseppe Dal Ben. «Questo» aggiunge Gerosa «vuol dire poter incrementare di circa il 30% il numero di trapianti. Ed è solo l’inizio per aiutare i pazienti con scompenso cardiaco che muoiono aspettando in lista».

Per la legge italiana, il cuore deve stare fermo per 20 minuti. A quel punto l’organo del cadavere deve essere ricondizionato, ovvero perfuso: la sfida è vincere la parte ischemica che spesso comporta ulteriori danni agli organi rendendoli inutilizzabili.

Ma l’Azienda ha tenuto accesi i motori, in attesa dell’autorizzazione del centro nazionale trapianti a procedere su questo tipo di trapianto.

Quindi l’11 maggio arriva a Padova la segnalazione dal’Usl 2 di Treviso di un donatore potenzialmente compatibile con il 46enne padovano, cardiopatico congenito con due interventi alle spalle, in lista per un trapianto dal 2020 le cui speranze erano ormai al lumicino.

«Il paziente era quasi al termine della vita in attesa del trapianto», conferma Gerosa. «Il programma di donazione a cuore fermo è attivo da molti anni con risultati positivi su fegato e rene» dice Paolo Zanatta «oggi sappiamo per certo che è possibile rendere disponibile anche il cuore. La legge prevede per accertamento di morte 20 minuti di asistolia, il più lungo al mondo probabilmente. Ma l’esperienza che noi abbiamo fatto ci ha permesso di capire che questo limite può essere superato».

Dopo lo stop il cuore è stato riperfuso, valutandone la funzionalità, quindi il via all’iter del trapianto. «Abbiamo sovvertito un paradigma e cioè che non si sarebbe potuto far ripartire un cuore fermo tutto quel tempo», conclude Gerosa, «Ora però dobbiamo andare avanti: finché non metteremo a punto un cuore artificiale meccanico non avremo risolto il problema».

Tratto da Il Mattino di Padova

I commenti dei lettori