NAPOLI. «Io ho perso il 19 aprile, ma oggi ha perso lo Stato». Tania Sorrentino è frastornata. Nella primavera di due anni fa, suo marito Maurizio Cerrato è stato ammazzato da «animali della razza più feroce» (per usare le parole del gip che all’epoca convalidò i fermi): lo accoltellarono al petto, davanti alla figlia, nel mezzo di una lite scoppiata per un posto auto occupato abusivamente con una sedia. Accadde a Torre Annunziata, in provincia di Napoli.

Le quattro persone trascinate a processo per omicidio volontario aggravato dai futili motivi sono state condannate ma la pena disposta non è quella che aveva invocato la procura né quella che Tania Sorrentino e la figlia Maria Adriana auspicavano. Nel pomeriggio di oggi i giudici della seconda sezione della Corte d’Assise di Napoli (presidente Concetta Cristiano) hanno condannato a 23 anni di reclusione ciascun imputato, vale a dire i fratelli Giorgio e Domenico Scaramella, e Francesco e Antonio Cirillo, padre e figlio. Il pubblico ministero Giuliana Moccia, in forza alla procura di Torre Annunziata, aveva proposto l’ergastolo, richiesta sostenuta anche dall’avvocato Giovanni Verdoliva che rappresentava in giudizio, come parte civile, la moglie e le figlie di Cerrato. Di qui il senso di smarrimento e delusione di chi è costretto a convivere con il dolore per la perdita della persona amata e che guardava alla Giustizia sperando in un finale diverso. «Con una sentenza di 23 anni per omicidio, diventa semplice ammazzare una persona. Questa pena alla fine diventerà di 15 anni e loro torneranno in libertà», dice Maria Adriana.
Lei, quel 19 aprile del 2021, si è vista morire il papà tra le braccia. Maria Adriana stava tornando a casa, in via IV Novembre a Torre Annunziata notò uno stallo per il parcheggio, su suolo pubblico, libero e legittimamente decise di fermare l’auto. Ma in quel posto era stata messa una sedia che Maria Adriana spostò. Dopo qualche ora Maria Adriana uscì nuovamente e raggiunse la vettura trovando una ruota squarciata. Era la vendetta di chi riteneva nella propria esclusiva disponibilità quel posto tanto da averlo ‘blindato’ con una sedia. Maria Adriana fu aggredita verbalmente per essersi ribellata a quel sopruso, riuscì a chiamare il padre Maurizio che intervenne in sua difesa. Maurizio, che lavorava come custode negli scavi di Pompei, fu a sua volta aggredito. Per difendersi ruppe gli occhiali a uno degli imputati (Giorgio Scaramella) ma, essendo una brava persona, si offrì di ripagarli, ottenendo un rifiuto. Vedendo che il clima si era fatto pesante, decise di allontanarsi e raggiungere con l’auto una vicina area di parcheggio privata per sistemare la macchina della figlia e tornare a casa. Ma pochi minuti dopo si ritrovò accerchiato da più persone, fu picchiato nonostante il tentativo di intervento di Maria Adriana, trattenuto e accoltellato al petto. Un fendente nella zona del cuore, fatale. Quando arrivò, trasportato d'urgenza, al pronto soccorso dell'ospedale di Castellammare di Stabia, per lui non c'era più nulla da fare.

«Le persone che hanno ucciso mio padre non erano brave persone, non lo sono e non lo saranno. Sono nate per distruggere e moriranno distruggendo - incalza Maria Adriana - Io spero che il ricordo di mio padre li accompagni per la durata della loro vita. Io e mia madre di sicuro terremo alto e vivo il ricordo di mio padre». «Mio marito era una persona eccezionale. Quello che hanno perso le mie figlie non si può descrivere. Ci aspettavamo una sentenza diversa, ci aspettavamo l’ergastolo perché sarebbe stata la giusta pena per quello che è successo, per come è successo e per l’atteggiamento avuto sino ad oggi dagli imputati», osserva Tania Sorrentino. Nessuno degli accusati ha mai chiesto scusa. «Hanno tolto a una famiglia una brava persona, ho una figlia di 9 anni che crescerà senza il padre e loro non hanno mai mostrato pentimento - racconta Tania Sorrentino - Anzi: si sono sempre preoccupati di chi potesse prendersi la colpa e oggi che è uscita la sentenza i loro familiari erano pure arrabbiati della pena, perché loro lamentavano di avere subito un’ingiustizia. Loro. Purtroppo queste sono persone che non hanno rispetto per la vita umana, non danno valore alla vita umana. Invece lo Stato ha il dovere di dare valore alla vita umana, alla vita delle brave persone. E con mio marito non l’ha fatto».

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