Parlava alla sorella del contratto scritto da Francesco Bellomo. Un contratto che lei aveva firmato e che definiva di “schiavitù sessuale. Un’altra borsista invece ha riferito di essere stata “punita” per aver violato gli obblighi imposti da quel documento, finendo in una rubrica sulla rivista della Scuola con “dettagli intimi sulla sua vita privata”. Mentre da un’altra ancora l’ex consigliere avrebbe preteso che “si inginocchiasse e gli chiedesse perdono” per avere violato regole del contratto. Sono le testimonianze delle borsiste della scuola di formazione Diritto e Scienza dell’ex giudice, agli arresti domiciliari per maltrattamento ed estorsioni ai danni di alcune ragazze. “Non so che visione abbia per le donne, ma le foto che mi faceva fare parlano chiaro”, aveva scritto in un messaggio una delle cinque presunte vittime dell’ex magistrato. E ancora: “Quelle che mettevo su fb (…) mi vergognavo delle foto che sono stata costretta a mettere”; “Mi facevo schifo da sola”. “Mi sentivo messa in vendita”. Secondo la tesi dell’accusa Francesco Bellomo controllava le foto pubblicate dall’allieva sul suo profilo Facebook “pretendendo che la stessa pubblicasse soltanto foto di suo gradimento perché corrispondenti ai canoni di comportamento da lui imposti compatibili con l’immagine della borsista e con il suo ruolo di testimonial della società”.

Il “contratto-schiavitù” – La ragazza che parlava con sua sorella di schiavitù, si sfogava con un’altra corsista: “Ho rinunciato alla borsa ma sono terrorizzata dalla reazione”, “mi stanno facendo paura”, “non vogliono lasciarmi andare”. Sentita dagli inquirenti della Procura di Piacenza, che aveva avviato un’altra indagine su Bellomo e i cui atti sono stati in parte trasmessi a Bari, la ragazza, spiegando il controllo che l’ex giudice aveva sui suoi social network, ha dichiarato di vergognarsi “delle foto che sono stata costretta mettere, mi facevo schifo da sola, mi sentivo messa in vendita”. Bellomo l’avrebbe anche accusava di intrattenere relazioni con altri uomini sulla base di scambi di like su Facebook, definendola “scientificamente una prostituta“.

Il messaggio a una ricercatrice: “Il tuo dna è malato” – Dopo la pubblicazione sulla rivista della scuola dei dettagli intimi della borsista “punita” per aver violato gli obblighi imposti dal contratto, Bellomo avrebbe anche bandito un “concorso tra i corsisti lettori” con in palio l’iscrizione gratuita al corso dell’anno successivo “per chi avesse fornito la migliore spiegazione dei comportamenti della ragazza“. In uno dei messaggi rivolti invece ad una ricercatrice della scuola “colpevole” di essere uscita di sera senza la sua autorizzazione, scriveva: “Non autorizzerò più uscite serali e mentre attendevo che ti facessi viva, mi sono fatto una lesione al pettorale, perché ho perso la concentrazione. Questo significa avere a fianco un animale. Perché tu sei così”. “Gli animali non conoscono dispiacere – scriveva in un altro messaggio – La decisione di uscire ieri sera è l’ennesima riprova del tuo dna malato. Agisci come un selvaggio, ignorando le regole“. Bellomo pretendeva “dedizione” come “l’obbligo di rispondere immediatamente alle sue telefonate e messaggi abbandonando qualsiasi attività, anche lavorativa, in cui fosse in quel momento impegnata”. Lui doveva essere per lei una “assoluta priorità”. All’indomani dell’ennesimo litigio, dopo le scuse della ragazza, lui avrebbe preteso che “si inginocchiasse e gli chiedesse perdono“. “Non ha il significato della sottomissione – scriveva in un altro messaggio – ma della solennità. Con le forme rituali“. Nell’ordinanza si legge che si legge che Bellomo avrebbe offeso “il decoro e la dignità personale” della ragazza “ponendola in uno stato di sofferenza morale e psichica tale da rendere intollerabile la relazione personale e professionale”. Le avrebbe imposto obblighi, divieti e forme di controllo, “così di fatto incidendo sulla sua libertà di autodeterminazione anche con riferimento ai più futili aspetti della vita quotidiana”.

“Gli altri non ti stimano, né fisicamente né moralmente” – Nell’ordinanza vengono riportati anche altri messaggi che Bellomo ha inviato tra fine 2015 e inizio 2016 a un’altra ricercatrice della sua scuola di formazione giuridica. “Preferisco non parlarti – le scrive – Direi cose molto pesanti e, purtroppo, vere. Rifletterò sul da farsi e ti farò sapere. Gli altri non ti stimano, né fisicamente né moralmente. Ti ho difeso, ti ho trattato da regina. Ma non è servito”. E ancora. “Ho detto cosa ti accadrà. Ti sei rovinata vita e carriera. Esegui ciò che ho detto e trovati un buon avvocato per il procedimento disciplinare. Elimina le mie foto da fb”. La donna, con la quale l’ex magistrato avrebbe avuto una relazione, sarebbe stata minacciata che, se non avesse rispettato le regole, l’avrebbe allontanata da sé, dalla rivista e dal corso, le avrebbe rovinato la vita pubblicando sulla rivista online Diritto e Scienza articoli in cui avrebbe parlato di lei e della sua vita privata, citandola in giudizio chiedendole il risarcimento dei danni per la violazione del contratto che aveva sottoscritto. Spesso bastava che non rispondesse immediatamente alla sua telefonata.

“Non ho parole”, scrive in un’altra occasione via sms. “Non ci vedremo questa settimana e da me gli aiuti sono terminati. Ora la tua carriera la fai da sola e dubito che riesca. Di certo non meriti niente. La tua natura è più forte”. “Dimenticavo: prendi tutti i vestiti, cappotti compresi, mettili in un pacco e spediscili. Ovviamente li butterò. Non mi faccio restituire i soldi perché sei una pezzente. Riabituati alla tua dimensione. Appena rientro ripulirò il sito dalla tua presenza. Sarai ospite fissa della rivista (una minaccia, ndr). Al concorso tar non accederai neppure. Ringrazia se non ti buttano fuori dalla magistratura ordinaria per la faccenda del tirocinio volontario e dei rapporti con un imputato di 416 cp”.

Inoltre il giorno dopo avrebbe preteso dalla vittima per porre fine al litigio, che la donna si inginocchiasse e gli chiedesse perdono. “Non voglio rovinare anni di lavoro senza darti una chance. Venerdì sera, quando entro in stanza, ti metti in ginocchio e mi dici ‘ti chiedo perdono, non lo farò mai più'”, scrive ancora in un sms Bellomo. “Non ha il significato della sottomissione, ma della solennità. Con le forme rituali”. Quindi, quando la donna, avendo deciso di interrompere definitivamente la relazione a seguito di quei fatti, bloccò il numero di Bellomo e di altre due uomini che già in altre occasioni l’avevano chiamata per conto del docente, quest’ultimo le inviò una diffida datata 25 febbraio 2016 (a firma di un avvocato) con l’invito ad adempiere i suoi presunti obblighi contrattuali nei confronti della società, quindi seguì una mail nel marzo successivo in cui le prospettava una possibilità di riavvicinamento nell’interesse di entrambi e della società. Infine, non avendo ricevuto alcuna risposta, ad agosto 2016 le fece notificare un atto di citazione in giudizio davanti al Tribunale di Bari (Sezione Civile) con domanda di condanna all’adempimento degli obblighi contrattuali nei confronti della società Diritto e Scienza e al pagamento di una penale per ogni giorno di eventuale ritardo.

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