È salva la riforma delle pensioni di Macron. Proteste e cassonetti in fiamme in tutta la Francia, 70 fermi a Parigi

di Stefano Montefiori

La mozione di sfiducia del partito indipendente Liot non ha raggiunto la maggioranza dei voti: la decisione salva Macron e il governo della prima ministra Elizabeth Borne. Nelle strade della capitale e di altre grandi città del Paese monta la protesta

È  salva la riforma delle pensioni di Macron. Proteste e cassonetti in fiamme in tutta la Francia, 70 fermi a Parigi

(foto EPA)

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Lanci di lacrimogeni e cassonetti in fiamme. Primi scontri nei pressi dell’Assemblée Nationale tra la polizia e le persone arrivate per protestare contro la mancata sfiducia al governo per soli 9 voti. Manifestazioni spontanee sono in corso anche a Strasburgo, Lione, Tolosa, Digione e Lille. È la conseguenza del voto in Parlamento che ha «salvato» il presidente Emmanuel Macron e di conseguenza la sua riforma delle pensioni.

La mozione di censura contro il governo di Elisabeth Borne ha raccolto, infatti, 278 voti: ne mancavano soltanto nove per raggiungere la maggioranza assoluta.
In base all’articolo 49.3 della Costituzione francese il governo resta in carica e la riforma delle pensioni è adottata dal Parlamento. Dovrebbe entrare in vigore il prossimo 1° settembre, ma nelle prossime settimane e mesi si intensificherà la lotta degli oppositori per impedirlo.

La Francia sta vivendo un momento di grave crisi politica e sociale, il dibattito all’Assemblea nazionale è stato segnato da urla e contestazioni violente, dopo l’annuncio del risultato alle 19 i primi manifestanti sono subito accorsi in place Vauban, davanti al duomo degli Invalides, per un raduno spontaneo e proibito dalla prefettura, e si prevede che nelle prossime ore la rabbia e la mobilitazione cresceranno, al di là della giornata di scioperi e cortei già dichiarata per giovedì 23 marzo.

Già pochi minuti dopo il voto si sono moltiplicate le manifestazioni spontanee. Decine di persone hanno cominciato a raccogliersi a place Vauban, vicino all’Assemblea nazionale, urlando slogan come «Macron dimettiti» e dando fuoco ai cassonetti della spazzatura. Non sono mancate tensioni con la polizia, che ha caricato i manifestanti e lanciato fumogeni nel tentativo di disperderli. Gruppi di contestatori si sono radunati anche nella stazione Saint-Lazare, nella zona dell’Opera, dove sono stati segnalati episodi di saccheggio, e lungo rue Reaumur, rue de Rivoli e rue Montmartre. Alcuni hanno alzato barricate utilizzando transenne, sacchi dell’immondizia e materiale sottratto da cantieri stradali. Nel corso della serata le forze dell’ordine hanno fermato settanta persone.

La protesta si è allargata anche ai principali centri del Paese, da Nantes a Tolosa, da Rouen a Strasburgo. A Digione, in place de la République, la folla ha distrutto le pensiline degli autobus e intonato la Marsigliese. Nella capitale e a Bordeaux gli studenti hanno occupato le università in segno di protesta.

I sindacati – per una volta uniti – e i partiti di opposizione non intendono arrendersi, incoraggiati anche dal margine molto risicato della vittoria del governo: si prevedeva che i voti mancanti fossero 20 o 30, e non 9. Sui banchi della Nupes, la coalizione della sinistra radicale, sono apparsi immediatamente i cartelli con scritto On continue (si continua) e RIP, ovvero referendum di iniziativa popolare.

Gli oppositori hanno organizzato un referendum per bocciare una volta per tutte una riforma giudicata ingiusta. Secondo quanto riporta Le Figaro, la richiesta per la consultazione popolare - firmata da 250 deputati e senatori e presentata alla presidente dell’Assemblea Yael Braun-Pivet - è stata inviata alla Corte costituzionale, che ora ha un mese di tempo per esaminarla.

Il deputato François Ruffin, sostenuto da molti colleghi, chiede a Macron di non promulgare la legge, come fecero nel 2006 il presidente Chirac e il suo premier Dominique de Villepin con il CPE (contratto di primo impiego), dopo quattro mesi di violente proteste popolari.

L’altra strada scelta dagli oppositori è il ricorso al Consiglio costituzionale, che dovrà pronunciarsi entro un mese e potrebbe bocciare integralmente (eventualità remota) o in parte la riforma. Almeno per questa sera la premier Elisabeth Borne resta in carica, ma lei stessa si considera «un fusibile» e potrebbe essere sostituita da un’altra personalità, magari l’attuale ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, in un profondo rimpasto di governo che sembra inevitabile.

Il presidente Macron resterà comunque all’Eliseo fino al 2027, ma deve ora trovare il modo per placare la contestazione popolare e per uscire da una crisi politica profonda. Macron sperava che i Républicains, la destra gollista che non fa parte della maggioranza relativa di governo, avrebbero sostenuto la riforma delle pensioni che sarebbe stata allora il primo passo per un’alleanza più strutturata in Parlamento fino a raggiungere una maggioranza assoluta. Non è stato così, i 61 deputati dei Républicains non solo la settimana scorsa non avrebbero votato per la riforma – ragion per cui il governo ha deciso di scavalcare il Parlamento ricorrendo all’articolo 49.3 – ma stasera molti di loro hanno votato la mozione di censura contro il governo, arrivando a un passo dall’approvazione.

Per domani mattina è stato organizzato un vertice all’Eliseo tra Macron, la premier Elisabeth Borne e i leader della coalizione di governo. In serata, il presidente riceverà invece i parlamentari di maggioranza.

(ha collaborato Giuseppe Scuotri)

20 marzo 2023 (modifica il 20 marzo 2023 | 22:34)