«Sandokan» si pente dopo 26 anni di carcere duro: la svolta di Francesco Schiavone, boss dei casalesi

diTitti Beneduce

«Sandokan», boss del clan dei casalesi, ha deciso di pentirsi e di collaborare con la giustizia. I familiari si discostano però dalla sua scelta: hanno rifiutato il programma di protezione e restano nel Casertano

Francesco Schiavone «Sandokan», il boss del clan dei casalesi, si pente dopo 26 anni di carcere duro

Francesco Schiavone al momento dell'arresto e nel riquadro oggi

Il boss del clan dei casalesi Francesco Schiavone, 70 anni, noto come «Sandokan» per la sua vaga somiglianza con la versione televisiva del pirata creato da Emilio Salgari, sta collaborando con la giustizia. La notizia, che circolava da alcuni giorni in provincia di Caserta, è stata confermata dalla Dna. I familiari tuttavia hanno preso le distanze dalla sua decisione e non hanno aderito al programma di protezione previsto per i parenti dei collaboratori di giustizia. Schiavone è detenuto da 26 anni in regime di carcere duro. Nel 2018 il figlio primogenito, Nicola, aveva già fatto questa scelta. Nei giorni scorsi il boss, che avrebbe un tumore, era stato trasferito dal carcere di Parma a quello dell'Aquila per avere la possibilità di curarsi nell’ospedale San Salvatore: proprio come avvenuto per il capomafia Matteo Messina Denaro, morto nel capoluogo abruzzese a settembre scorso.

Perché potrebbe essere una svolta per le indagini sulla camorra

Tre anni dopo, nel 2021, anche il figlio secondogenito Walter si pentì. La decisione di «Sandokan» di collaborare con la giustizia, presa dopo lunghi contatti con la Dda, potrebbe consentire agli inquirenti di conoscere segreti importantissimi del clan dei casalesi e risolvere casi finora rimasti avvolti nel mistero. Francesco Schiavone infatti ha retto la cosca per molti anni assieme ad altri tre capi carismatici: Antonio Iovine, Francesco Bidognetti e Michele Zagaria

L'arresto di Schiavone

L'ultima volta il boss fu arrestato nel luglio del 1998 in un bunker a Casal di Principe, dove aveva trovato rifugio con la moglie e le due figlie piccole, entrambe concepite durante la latitanza. Per 26 anni ha scontato le condanne in regime di 41 bis; più volte è circolata la voce di un suo pentimento, ma non ha mai trovato conferma e anzi in una circostanza, pochi mesi dopo il suo arresto, fu lo stesso Schiavone a smentirla in una lettera inviata a un giornale locale. Nel 2014, invece, decise di collaborare con  la giustizia l'altro capo della cosca Antonio Iovine.

I dubbi di Saviano

«Schiavone è il capo del clan dei casalesi (insieme a Bidognetti) e ha deciso di collaborare con la giustizia. Sarà davvero così? Collaborerà dando informazioni importanti o farà come il figlio e la moglie (e altri ex capi) che ad oggi hanno detto molto poco?». Se lo chiede Roberto Saviano su Instagram. «Conscio della debolezza dello Stato alla ricerca solo di poter comunicare un pentimento - prosegue lo scrittore di Gomorra -, gli basterà dare qualche prova di omicidio, qualche tangente ed evitarsi l'ergastolo? Riuscirà a farlo senza svelare dove si trovano i soldi della camorra e senza dimostrare i legami politici imprenditoriali reali? Lo scopriremo monitorando e analizzando quello che accadrà».

La giornalista minacciata

«Se immaginiamo una bilancia e da un lato mettiamo il sangue innocente sparso, i tanti bambini morti per il tumore a causa degli sversamenti illegali e quello che lui potrà dire, la bilancia pende sicuramente dal primo lato. Sandokan collabora, va bene, ma deve dire la verità»: lo ha detto la giornalista Marilena Natale, autrice del libro «Io e Sandokan. Storia di una cronista di strada che ha sfidato la tigre» e sotto scorta dal 2017 proprio per le minacce subite da Francesco Schiavone.

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29 marzo 2024 ( modifica il 2 aprile 2024 | 16:30)