Milano, 30 agosto 2016 - 11:57

Apple, stangata Ue: 13 miliardi di euro per «illegali vantaggi fiscali»

L'annuncio della commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager. Cupertino avvia il ricorso contro la «nefasta» decisione, che per il Tesoro americano è una «minaccia allo spirito della partnership economica tra Usa e Ue»

La Commissaria alla Concorrenza Ue Margrethe Vestager La Commissaria alla Concorrenza Ue Margrethe Vestager
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Una sentenza da 13 miliardi di euro. Apple dovrà risarcire all'Irlanda una cifra a nove zeri. Lo ha annunciato la Commissaria Margrethe Vestager in una conferenza stampa, che precisa «non è una punizione. Sono tasse non pagate che vanno pagate». Cupertino dovrà quindi restituire le imposte inevase sui profitti ottenuti nel periodo dal 2003 al 2014 grazie a un sistema di aliquote vantaggiose concesse dall'Irlanda grazie a degli accordi fiscali. «Guardando avanti - ha spiegato Vestager - l'obiettivo finale è che tutte le compagnie, grandi e piccole, paghino le tasse dove generano i loro profitti». E, perché si arrivi a questo risultato, serve «un cambiamento nella filosofia aziendale» e «nella legislazione». La commissaria ha quindi sottolineato che il lavoro che attende l'esecutivo Ue è far sì che la competizione tra le imprese «non avvenga a spese dei contribuenti europei. Quando vengo a sapere che Apple ha pagato di tasse l'1% dei profitti, per poi arrivare a pagarne lo 0,005%, come cittadino che pago le tasse io mi sentirei arrabbiato».

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La reazione degli Usa

La decisione non è vista di buon occhio da Washington che, pur non facendo commenti espliciti, si dice «preoccupata di un approccio unilaterale nei negoziati sugli aiuti di stato che minacciano i progressi che abbiamo fatto collaborativamente con gli europei per rendere giusto il sistema tributario internazionale». A parlare è Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca: «Quando dico giusto, intendo giusto soprattutto per i contribuenti ma anche per le aziende che cercano di fare business nel mondo; alla fine dà benefici all'economia su ambo le sponde dell'Atlantico». Più negativo è il portavoce del Tesoro americano: «Potrebbe minacciare gli investimenti stranieri, il clima degli affari in Europa, e l'importante spirito della partnership economica tra Usa e Ue». Intanto già si fanno avanti proposte di asilo rivolte al gigante di Cupertino. Come quello della Turchia: «Saremmo felici di offrire incentivi fiscali più generosi. Non dovrebbe avere a che fare con la burocrazia Ue», ha twittato il vicepremier di Ankara Mehmet Simsek.

Gli appelli

Con la sentenza, l'Unione Europea prova a dire addio alle «tasse morsicate». Ma Cupertino annuncia subito un ricorso contro la decisione, che definisce «nefasta» per gli investimenti e il lavoro in Europa. «Apple segue la legge e paga tutte le imposte che deve ovunque opera» scrive in un comunicato. Secondo la società statunitense «l'argomentazione della Commissione non riguarda quanto Apple paga in tasse, ma quale governo raccoglie i soldi. Avrà un effetto profondo e dannoso sugli investimenti e la creazione di lavoro in Europa». Sposa la tesi Tim Cook: il ceo, dal blog ufficiale della società, scrive una lettera alla comunità Apple in Europa, dove descrive con termini duri la sentenza e poi annuncia: «Non rinunciamo al nostro impegno in Irlanda» (Leggi qui il testo). L'Irlanda segue Apple e dichiara che ricorrerà in appello contro la sentenza. Il primo commento è quello del ministro delle Finanze del Paese, Michael Noonan: «Sono in profondo disaccordo con la decisione della Commissione. Il nostro sistema di tassazione è fondato sulla stretta applicazione della legge, come stabilito dal Parlamento, senza alcuna eccezione». Mentre il titolo in Borsa di Apple perde l'1,6% subito dopo l'annuncio.

Aiuti di stato illegali

Una serie di accordi, conclusi nel 1991 e nel 2007, che, secondo la Commissione sono paragonabili ad aiuti di stato illegali. E che si traducono con una potenziale violazione del diritto europeo. La prima accusa arriva nel 2014: l’Irlanda aggira le leggi fiscali internazionali per agevolare le vendite di Apple nel continente, con un aliquota fiscale bassissima, pari a meno dell’1% contro il 12,5% previsto nel Paese, grazie allo strategico metodo del «double Irish». Si tratta di un sistema di calcolo dei profitti, imponibili per le due società di diritto irlandese che fanno parte del gruppo Apple - Apple Sales International e Apple Operations Europe - e che possono vendere e fabbricare i prodotti di Cupertino fuori dal continente americano. Tutti i guadagni dalle vendite - di entrambe le società - venivano registrati su sedi che «non esistevano che sulla carta e non avrebbero potuto generare tali profitti». Di conseguenza, come spiega la Commissione, il trattamento irlandese ha permesso a Apple «di evitare l'imposta praticamente sulla totalità dei profitti generati dalle vendite di prodotti nell'insieme del mercato unico della Ue: ciò è dovuto alla decisione di Apple di registrare tutte le sue vendite in Irlanda e non nei Paesi in cui i prodotti erano venduti». Tradotto in numeri, significa che la Mela pagava cinquanta euro per ogni milione di profitti. In cambio del trattamento fiscale «agevolato», Cupertino ha assicurato il mantenimento dell’occupazione sull’isola, dando lavoro - nella sola città di Cork - a 5.500 persone, circa un quarto dei dipendenti che ha assunto in tutta Europa. L’Irlanda ha fatto delle agevolazioni fiscali per le aziende un pilastro della sua economia negli ultimi vent’anni, attirando le più importanti multinazionali del mondo.

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La richiesta più alta di sempre

Le istituzioni europee possono però solo raccomandare l'ammontare della cifra da recuperare. Sarà il sistema fiscale irlandese a dover determinare la somma esatta del risarcimento. La multa più alta finora inflitta dalla Ue era stata di 1,4 miliardi al colosso energetico francese Edf. Quella decisa per Apple è 40 volte più alta. Ma la cifra, almeno quella dovuta all'Irlanda, potrebbe essere ridotta se altri Paesi chiedessero il risarcimento di imposte a loro dovute sui prodotti che Cupertino ha venduto nel loro territorio, ha chiarito la Commissione. «Lo stesso dicasi se parte di questi profitti non tassati andassero per ricerca e sviluppo negli Usa», ha aggiunto Vestager.

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