1 ottobre 2018 - 14:09

Morto il cantante Charles Aznavour, aveva 94 anni|L’intervista: «Ho tre maniere di sedurre»|La vita|Fotostoria

L’artista, di origini armene, è morto nella sua casa di Alpilles, nel sud della Francia

di Mario Luzzatto Fegiz

Morto il cantante Charles Aznavour, aveva 94 anni|L’intervista: «Ho tre maniere di sedurre»|La vita|Fotostoria
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Sempreverdi incantevoli sia in francese sia in italiano: Come è triste Venezia, Lei, Io sono un istrione, Quel che non si fa più, Amore, Devi sapere (Il faut savoir). Alcuni dei capolavori di Charles Aznavour, nome d’arte di Chahnourh Varinag Aznavourian, morto ieri a Alpilles all’età di 94 anni. Scompare l’ultimo degli Chansonnier. Aznavour è stato il cantautore francese più applaudito nel mondo. Era nato a Parigi il 2 marzo 1924 da una coppia di immigrati armeni. Nella sua carriera ha venduto 300 milioni di dischi incisi in 7 lingue e recitato in 80 film fra cui Il passaggio del Reno, Leone d’oro a Venezia. Forte il suo legame con l’Italia. Il padre Micha fu salvato da una delle maggiori stragi che vennero inflitte al popolo armeno, da una nave italiana. E fu proprio il coraggio del comandante a sottrarre l’uomo agli inseguitori. In omaggio all’Italia la sorella maggiore dell’artista fu chiamata Aida.

Questa fu una delle ragioni che portarono Aznavour a pubblicare ed eseguire dal vivo i suoi capolavori nella nostra lingua. Il suo immenso repertorio è dominato da una sottile e struggente melanconia, che raggiunge i massimi livelli in Ed io fra di voi, la canzone di un uomo che coglie i segni del tradimento da parte della donna amata che si svolge sotto i suoi occhi. La dirompente sofferenza del tradito è espressa con una intensità che ha pochi eguali. L’altro vertice espressivo viene raggiunto in Quel che si dice, ovvero la triste esistenza solitaria di un omosessuale, che, smessi i lustrini e i belletti del palco, torna ogni alba a casa a curare la vecchia madre. Diceva: «Credo che questa canzone abbia giovato alla causa degli omosessuali, all’epoca ancora oggetto di scherno e discriminazione».

Cresciuto alla scuola di Charles Trenet, e poi allievo di Édith Piaf (di cui inizialmente era l’autista) adorava cantare le vite sul viale del tramonto, gli amori corrosi dagli anni e dalla noia, il rimpianto per le grandi occasioni perdute. Raccontava: «Canto l’amore ma anche il suo contrario. L’amore non è solo quello che va bene, ma anche quello logorato». Le versioni italiane sono state firmate da Bardotti, Mogol, Calabrese, Lorenzo Raggi. L’altra faccia di Aznavour è quella del combattente per la libertà del popolo armeno. La tragedia di quelle genti, delle quali si sentiva parte, è sempre stata in cima ai suoi pensieri. L’aiuto materiale e morale dato sul quel fronte da Aznavour è immenso e difficile da calcolare. Nel 1989 chiamò una cinquantina di cantanti italiani per registrare nel grande auditorio della Fonit Cetra di via Meda a Milano il brano Per te Armenia a favore del progetto «Fondazione Aznavour per l’Armenia» colpita da un gravissimo terremoto. Vi presero parte fra gli altri Nilla Pizzi, Lorella Cuccarini, Enzo Jannacci, Tullio de Piscopo, Sergio Endrigo, Dori Ghezzi, Toni Dallara, Pierangelo Bertoli, Memo Remigi, Orietta Berti, Gino Paoli e Gigliola Cinquetti, Scialpi, Mino Reitano, Franco Simone. E al coro s’era aggregata anche Maria Pia Fanfani, che vestiva l’alta uniforme della Croce Rossa. Commovente il testo tradotto da Andrea Lo Vecchio: «Dio lo vedrà, provvederà per te Armenia... La maledetta sorte tua ti ha spazzato via e così sia. Tu Armenia rivivrai e la fiamma che è in te più forte si alzerà e griderà che viva sei».

Sorprendente la sua capacità di calcare il palco con successo fino alla della fine. Il segreto? Era riuscito ad adattare il suo spettacolo ai suoi limiti. Così per surrogare una vocalità ormai scarsa, Aznavour sfoderava la classe del grande uomo di palcoscenico, una teatralità e una gestualità che sottolineava ogni parola dei suoi versi, la saggezza disincantata di chi conosce a fondo la vita, le donne, la gioia, il dolore, l’ansia, la noia. Usava le rughe, l’età, i capelli bianchi per caricare d’enfasi drammatica un gran numero di canzoni legate proprio al tema degli anni che passano impietosi, alla difficoltà di invecchiare con dignità, al rimpianto di quella giovinezza fuggita. A un certo punto aveva lasciato la Francia per gli Stati Uniti. Motivo? «Mi rifiuto di pagare in tasse più del 50% di quanto incasso». Dopo aver ottenuto la Legion d’onore nel suo Paese si era trasferito in Svizzera come ambasciatore ufficiale dell’Armenia.

Se ne va dunque un magico poeta insuperabile nel cantare di sogni infranti, amori sterili (Non abbiamo bambini), vite coniugali vissute nell’incomprensione, emozioni di un attimo. Aznavour era molto pessimista sul futuro della canzone d’autore francese: «Morirà con Gilbert Bécaud, Léo Ferré e il sottoscritto, visto che ai giovani non mi pare interessi troppo». Lui era così, uno che non si piegava all’età, un artista che sfidava il tempo e se stesso. Era arguto, con la battuta sempre pronta. Un giorno Ornella Vanoni gli chiese: «Ma tua moglie che fa?» e lui di rimando: «Mi guarda vivere».

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