Roma

Luca Ventre, cosa sappiamo dell'italiano morto dopo essere entrato nell'ambasciata in Uruguay

L'imprenditore di 35 anni, gli ultimi otto trascorsi nel paese sudamericano, il 1 gennaio poco dopo le 7 ha saltato il muro della rappresentanza diplomatica italiana chiedendo aiuto ma, come si vede dai video delle telecamere di sorveglianza, è stato immobilizzato e tenuto a terra per 22 minuti da un poliziotto uruguayano, che gli preme un braccio contro il collo fino a che non si muove più. Viene poi portato in ospedale. Alle 8.30 viene dichiarato morto
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Sono le 8.30 dello scorso Capodanno quando all'Hospital de Clinicas "Dr. Manuel Quintela", a Montevideo, viene dichiarato il decesso di Luca Ventre. L'imprenditore, di 35 anni, gli ultimi otto trascorsi in Uruguay, un'ora e mezza prima ha saltato il muro della vicina ambasciata italiana chiedendo aiuto ma, come si vede dai video delle telecamere di sorveglianza della sede diplomatica, viene immobilizzato, tenuto a terra per 22 minuti da un poliziotto uruguayano, che gli preme un braccio contro il collo fino a che non si muove più. Per i familiari è stato vittima di un omicidio, soffocato come George Floyd negli Usa, da un agente straniero che si trovava armato all'interno dell'ambasciata italiana. Chiedono giustizia e sul caso stanno indagando sia i magistrati dell'Uruguay che la Procura di Roma, ma sull'accaduto sono ancora tanti gli interrogativi aperti. Un caso misterioso di cui si sa ancora troppo poco e quello che si sa è estremamente inquietante.

Chi è Luca Ventre

Luca Ventre è un imprenditore nato e vissuto a Roma fino all'età di due anni, quando la sua famiglia si è trasferita a Vicenza. La mamma, Palma Roseti, è un'orafa e decide di spostarsi dove può sviluppare la sua professione. All'inizio è indecisa tra Arezzo e Vicenza, ma poi opta per la città veneta e Luca, insieme ai suoi quattro fratelli, cresce all'ombra degli edifici progettati da Andrea Palladio, trascorrendo le vacanze estive in Basilicata, nella fattoria del nonno materno. Trova lavoro come magazziniere, ma poi arriva il dramma. Mentre a Vicenza è in motorino finisce in un tombino aperto e si ferisce gravemente. Per due anni resta paralizzato.


Si sottopone a numerosi interventi chirurgici e alla fine riesce a riprendersi. Dall'assicurazione del Comune ottiene 100mila euro e nel 2012, insieme alla madre, si trasferisce in Uruguay, dove il padre Mario già opera nel settore immobiliare. Il risarcimento ottenuto per l'incidente è una somma con cui nel Paese latinoamericano si possono fare investimenti importanti e Luca non perde tempo. Costruisce 14 villette e dopo due anni già incassa affitti per circa tremila euro al mese, una rendita equivalente a quella di 8-10mila euro mensili in Italia. Le cose finalmente sembrano andar bene. Il 35enne ha sempre nuove idee. Mette su una ditta di import-export dedicandosi in particolare al commercio del cioccolato, insieme alla madre cerca di sviluppare gli affari per gli italiani in Uruguay con la Camera Empresarial Italo-Uruguaya, e poi apre un locale di ristorazione italiano, riconvertito durante l'emergenza coronavirus in pizzeria da asporto. Conosce anche una ragazza, una 40enne, con cui inizia una relazione. La donna ha già un figlio di 8 anni e da lei Luca otto mesi fa ha avuto una bambina.

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Nel 2018 però la madre torna in Italia. Lucana di origini, Palma Roseti vuole stare vicino ai nipoti a Vicenza. Anche Luca e il padre iniziano a pensare di rientrare. Hanno nostalgia della famiglia e il rapporto tra il 35enne e la compagna uruguayana non va bene. Litigano. Soprattutto, a quanto pare, perché l'imprenditore vorrebbe portare con sé la figlia in Italia. Da settembre soprattutto le cose tra i due non vanno proprio più. Ma a complicare il ritorno in Italia ci sono le tante difficoltà negli spostamenti legate al Covid.

Le minacce

Tra il 29 e il 30 dicembre scorso l'imprenditore comunica ai familiari che deve rientrare in fretta. Qualcuno lo minaccia. Si scoprirà di recente che ha sostenuto che vogliono sequestrarlo. Il fratello Fabrizio lo spinge a presentare una denuncia al commissariato, una denuncia contro ignoti di cui i familiari attendono ora di poter avere copia. Luca Ventre dorme in hotel. Alla mamma dice che avrebbe trascorso la notte di San Silvestro nella casa al mare con il padre e la donna inizia a cercare a Vicenza un appartamento in affitto per il figlio. I familiari cercano per lui un volo. La paura per Luca sembra però fosse troppa e alle 7 dell'1 gennaio si presenta alla porta dell'ambasciata italiana a Montevideo. A quel punto, in base alle informazioni sinora a disposizione, ignorando che nel giorno di festa gli uffici erano vuoti, il 35enne avrebbe citofonato e, non ricevendo risposta, scavalcato il muro di recinzione. "Aiutatemi, vogliono uccidermi. Chiedo protezione", avrenne urlato una volta dentro la sede diplomatica, come riferirà agli inquirenti uruguayani il poliziotto che lo ha bloccato e tenuto fermo a terra.

Un dramma ripreso dalle telecamere

Dalle immagini delle telecamere di sorveglianza dell'ambasciata, ottenute dai familiari della vittima dalla magistratura uruguayana, emerge che alle 7.04 dell'1 gennaio Luca parcheggia il suo pickup davanti alla porta dell'ufficio diplomatico, in via Josè Ellauri, e un minuto dopo entra tenendo in mano una cartellina in pelle con dei documenti. Tra le 7.05 e le 7.07 non si sa cosa accade, mancando per quel lasso temporale ancora i filmati. Secondo la guardia di sicurezza privata presente all'interno dell'ambasciata, interrogata dagli investigatori uruguayani, Luca chiede di parlare con la ex console Antonella Vallardi, dichiarando che si trova in pericolo di vita e chiedendo protezione in Ambasciata. Alle 7.07 si vede l'imprenditore che tenta di scavalcare il cancello per uscire. La guardia corre nella sua direzione, lo afferra per i pantaloni e lo riporta a terra. Anche se poi la guardia dirà che il 35enne si rifiutava di uscire ed era aggressivo. Si vede a quel punto anche un poliziotto uruguayano presente all'interno dell'ambasciata.

Luca, dopo aver parlato con i due, si inginocchia senza manifestare alcuna resistenza, con le mani dietro la schiena, e il poliziotto lo scarventa a terra mentre la vittima alza il braccio destro in segno di resa. Il poliziotto gli mette quindi un braccio attorno al collo mentre la guardia lo tiene fermo. Luca tenta di divincolarsi da quella presa, ma invano. Alle 7.08 la guardia entra in guardiola e telefona. Poi si avvicina a Luca e prende la pistola dell'agente di polizia. L'imprenditore è immobile. Dalle 7.09 alle 7.18 tenta invano di liberarsi dalla stretta e poi non si muove più. Solo alle 7.30 il poliziotto si alza, va in guardiola  e dopo pochi minuti esce portando radio e telefono alla guardia, che inizia a fare una serie di telefonate. Alle 7.40 si apre il cancello e intervengono tre agenti. Il 35enne, che non dà segni di reazione, viene ammanettato. La guardia torna in guardiola e consegna a due agenti la cartellina portadocumenti. Luca viene sollevato di peso. Sembra già morto.

Alle 7.48 l'auto della polizia parte in direzione della clinica, che dall'ambasciata dista circa 4 chilometri. Un agente dichiarerà poi agli investigatori che il 35enne era estremamente violento ed agitato, mentre secondo un altro è semicosciente e con un arresto cardiaco in corso. Alle 7.51 l'auto della polizia arriva davanti al pronto soccorso, ma l'imprenditore verrà portato dentro solo dopo 14 minuti. Alle 7.54 arriva una seconda auto della polizia. Alle 7.59 un agente avvicina una carrozzella alla prima auto e alle 8.04 l'imprenditore viene condotto nella struttura sanitaria. Continua a non dare segni di vita. Un'infermiera dichiarerà che Luca è stato portato in ospedale già morto e un agente che era in stato di fortissima agitazione e particolarmente violento, per cui è stato legato e gli sono stati somministrati dei farmaci. I medici sostengono che dopo 11 minuti il 35enne è andato in arresto cardiaco e dopo 5 cicli di rianimazione, alle 8.30, è stato dichiarato il decesso. Un medico del pronto soccorso dirà invece che aveva le convulsioni, che non era in grado di parlare e che è andato in arresto cardiaco.

Prime indagini

Alle 8.36 dell'1 gennaio, sei minuti dopo la constatazione di decesso di Luca Ventre, in Uruguay viene aperto un fascicolo per omicidio. Alle 7.55 la scientifica si reca nella sede diplomatica italiana a compiere i rilievi, motivando l'iniziativa per "omicidio avvenuto in ambasciata". Viene poi eseguita l'autopsia. Il medico legale ritiene che il 35enne non sia morto a causa di traumi o lesioni. Sul viso e sul corpo ha ferite superficiali, il cuore è sano e in perfetta forma, non ci sono segni evidenti di infarto, ma sul collo ha molti ematomi. Il cuore e campioni del cervello vengono inviati ai laboratori per l'analisi patologica e vengono prelevati campioni di sangue e urine per l'esame tossicologico. Ma il medico legale specifica qualcosa che sembra confermare l'ipotesi che Luca sia stato soffocato da quella prolungata presa per il collo dentro l'ambasciata: il cervello del 35enne presenta uno stato edematoso compatibile con la morte da strangolamento.

Prime informazioni

Il dramma, con due confuse telefonate, viene comunicato al padre di Luca, Carmine Mario, soltanto nel pomeriggio di Capodanno. La madre, informata a quel punto del dramma, scrive subito all'Ambasciata e alla Farnesina. Le risponderà dopo due giorni l'ex viceministra Emanuela Del Re, facendole le condoglianze e assicurando il massimo impegno nella vicenda. Ma anche sulle prime informazioni diffuse sul caso più di qualcosa non torna. Si parla di un uomo che si è introdotto clandestinamente nella sede diplomatica, che ha fatto resistenza e che è stato poi colto da malore, spirando infine in ospedale. Il 2 gennaio il comunicato dell'Ambasciata, retta da Giovanni Battista Iannuzzi: "L'Ambasciata d'Italia con rammarico conferma che ieri il Sig. Luca Ventre, connazionale residente nella nostra comunità, è deceduto dopo che nelle primissime ore della mattinata si è arrampicato per scavalcare il recinto dell'Ambasciata e si è poi diretto verso gli Uffici. Dopo l'arresto il connazionale è stato trasportato al Hospital de Clinicas dove purtroppo risulta sia successivamente deceduto. L'Ambasciata in questo doloroso momento, si stringe alla famiglia del connazionale; in particolare al padre, Sig. Carmine Mario Ventre che vive in Uruguay e con cui è in contatto, oltre alla madre, Sig.ra Palma Roseti, cui assicura la massima vicinanza e il massimo impegno affinché le Autorità uruguaiane facciano piena luce sulle cause del tragico decesso del figlio". Una situazione ben diversa da quella che poi emergerà dai video delle telecamere di sorveglianza. Nessun cenno a cosa ci facesse un poliziotto uruguayano armato all'interno di una sede diplomatica italiana. Silenzio. Lo stesso silenzio mantenuto sinora dall'ex ministro degli esteri Luigi Di Maio. Il decesso verrà notificato ai familiari di Luca, in Italia, dai carabinieri solo il 5 gennaio. Inizia così la loro dura battaglia per cercare di ottenere verità e giustizia.

La svolta

Il 22 gennaio scorso, dopo una denuncia presentata undici giorni prima dalla famiglia Ventre, che il 5 gennaio ha ottenuto i video e i primi documenti sulle indagini dalle autorità uruguayane, apre un'inchiesta anche il sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Sergio Colaiocco. Un fascicolo contro ignoti, con l'ipotesi di omicidio preterintenzionale. Le indagini vengono affidate ai carabinieri del Ros. I familiari della vittima stanno cercando di far rientrare in questi giorni la salma in Italia, per una seconda autopsia. "Mi sembra evidente che mio fratello sia morto all'interno dell'ambasciata e che dunque la competenza a indagare sia della magistratura italiana", afferma Fabrizio Ventre. "L'unico pensiero dell'Ambasciata - aggiunge Palma Roseti - era non avere un morto lì dentro e, con la complicità della polizia locale, hanno portato Luca in ospedale sapendo benissimo che era già morto".

I misteri

I magistrati dovranno stabilire esattamente perché Luca Ventre sia morto e se sia stato realmente soffocato dal poliziotto uruguayano all'interno dell'ambasciata, oltre a far luce sugli eventuali successivi depistaggi e sul ruolo delle autorità diplomatiche nella vicenda. I misteri nella tragedia dell'imprenditore sono però anche altri. Restano da mettere a fuoco esattamente le minacce che il 35enne sosteneva di aver ricevuto. Ai familiari aveva detto che qualcuno voleva sequestrarlo e aveva presentato una denuncia contro ignoti alle autorità uruguayane. La famiglia del 35enne ha poi scoperto che sul cellulare dell'imprenditore era stata inserita un'applicazione spia, con cui da ottobre venivano controllate le sue telefonate e i suoi messaggi e tutto inviato a numeri che al momento non si sa a quali utenti corrispondano. "Attendiamo il materiale per far fare una consulenza tecnica", specifica Fabrizio Ventre. Sulle minacce la ex compagna della vittima sembra cadere dalle nuvole. "Non usciva con nessuno e qui in Uruguay non aveva molti amici né parenti - ha riferito la donna agli investigatori - c'erano il padre, mio cugino che è suo amico e io. Non conosceva molte persone". Ma qualcuno che voleva fare del male a Luca sembra ci fosse e la strada per far luce non appare semplice.