Roma

"Te potrei fa’ massacra'...però sei un omo": faccia a faccia con Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana

Nicoletti, definito da molti il cassiere della Banda della Magliana, aveva costruito l’Università di Tor Vergata, oltre che quella di Cassino a molte altre cose: un terremoto che fece traballare l’allora giunta di sinistra che aveva come sindaco Ugo Vetere, Pci. Si parlò di decine e decine di miliardi. Si sussurrò di forti tangenti distribuite un po’ a tutti i partiti. E il cronista autore di queste righe visse anche il brivido di un tentativo di corruzione diretta, con una offerta milionaria per non scrivere più nulla

2 minuti di lettura
Enrico Nicoletti, il “Secco” di Romanzo Criminale, incominciò a diventare un personaggio pubblico quasi per sbaglio, quando venne arrestato nella prima metà degli Anni 80 a Fiumicino assieme al ricercato Vincenzo Maresca, fratello di Pupetta Maresca, vedova del mitico Pascalone ‘a Nola e allora a capo del clan camorrista che contendeva Napoli a Raffaele Cutolo. L’allora commissario Alessandro Pansa, vice di Gianni De Gennaro alla Criminalpol Lazio, nella conferenza stampa tenuta a Roma, in questura, molto parlò di Maresca e poco di Nicoletti, ma quasi al termine si lasciò sfuggire una frase che fu il prologo di una lunga storia: “Andate a vedere cosa ha fatto questo tipo qui, Nicoletti....”. Beh, l’imprenditore, poi definito da molti il cassiere della Banda della Magliana, aveva costruito niente meno che l’Università di Tor Vergata, oltre che quella di Cassino a molte altre cose. Fu un terremoto che fece traballare l’allora giunta di sinistra che aveva come sindaco Ugo Vetere, Pci. Come era stato possibile dare a un personaggio del genere, per di più a trattativa privata, un incarico tanto importante e così impegnativo per le casse del Comune? Si parlò di cifre colossali, decine e decine di miliardi. Si sussurrò di forti tangenti distribuite un po’ a tutti i partiti. E chi scrive queste righe visse anche il brivido di un tentativo di corruzione diretta, con una offerta milionaria per non scrivere più nulla. 

Ma Nicoletti, pur essendo esponente di una stagione terribile, dove politica, terrorismo, sequestri, trame eversive, droga e proiettili scrivevano ogni giorno pagine di sangue, era anche il tipico boss di quartiere, con la Rolls Royce bianca, gli anelli d’oro che gli tempestavano le dita, il Rolex con le ore segnate dai brillanti e il villone esagerato al Casilino. A Centocelle, il suo quartiere, era già allora il residuo di una stagione di banditismo romantico, tipo “Banditi a Milano” di Lizzani, spietato da una parte ma a suo modo leale. Non rifiutò, ad esempio, il confronto diretto, faccia a faccia, anche con chi per lui chiedeva la galera ma allo stesso tempo era andato a suonare alla sua porta. Indimenticabile il suo commento: “Te potrei fa’ massacra'.....però sei un omo”.

Le vicende che lo riguardarono potevano essere, allora, quanto sarebbe poi accaduto con Tangentopoli dieci anni dopo. Ma tutto accadeva a Roma, non a Milano, e nella Capitale il sistema di potere creato dai due campioni della Dc laziale, Andreotti e Sbardella, aveva radici solidissime e ben ramificate. Anzi, forse fu soltanto lo scontro fra i protetti dei due leader politici sulla ripartizione di alcuni affari romani, Tor Vergata da una parte e il Nuovo Policlinico dall’altra, che provocò allora tanto sconquasso. Fatto sta che tutto venne ricomposto nello studio dell’allora factotum di Andreotti, Franco Evangelisti, dove Enrico Nicoletti da una parte e Giuseppe Ciarrapico dall’altra, alla fine trovarono un accordo di pace. E del caso Tor Vergata non si seppe più nulla. Il pubblico ministero Franco Ionta ebbe a commentare, con amarezza: “E’ il più grande scandalo destinato a non esplodere a Roma”. 

Enrico Nicoletti, tuttavia, continuò a restare sulla graticola di mille altre inchieste. Difeso all’inizio dallo stesso legale, Giuseppe Mirabile, scelto dal boss mafioso Pippo Calò (anche lui allora considerato un finanziere, ma di Cosa Nostra) e da Natale Rimi, attraversò comunque più o meno indenne le inchieste. Verso la Banda della Magliana ostentava disprezzo (“Io non me la faccio con questi pezzenti”) pur avendo avuto tanti amici nelle sue fila, fra cui quel Renatino De Pedis a cui regalò una pizzeria a Trastevere (“Lui per me era un signore e io coi miei soldi ci faccio quel che mi pare”). Uguale sprezzo dispensava a giornalisti e a magistrati. Della giustizia aveva un’idea precisa: “Sono tutti corrotti”. Ma forse la cosa che più lo faceva bruciare di rabbia era di aver dovuto cedere proprio alla Giustizia la bella villa dove il Comune di Roma ha poi realizzato la sua “Casa del Jazz”, all’inizio di via Cristoforo Colombo. Confiscata per appartenenza ad associazione di stampo mafioso.