12 giugno 2019 - 07:22

Csm, altri consiglieri alle riunioni
E Luca Lotti parlava del Quirinale

Nei colloqui registrati le manovre di Palamara per le Procure di Roma e Perugia

di Giovanni Bianconi Fiorenza Sarzanini

Csm, altri consiglieri alle riunioni E Luca Lotti parlava del Quirinale
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Le trame per le nomine ai vertici delle Procure non si fermano alla riunione notturna nell’albergo romano dove il pubblico ministero Luca Palamara, ora indagato per corruzione, discuteva con i deputati del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti, insieme a cinque componenti del Consiglio superiore della magistratura. Le intercettazioni disposte dai magistrati di Perugia svelano altri incontri extra-consiliari in cui la microspia inoculata nel telefono del magistrato sotto inchiesta ha registrato le voci di almeno altri due membri dell’organo di autogoverno dei giudici. La novità emersa dalle trascrizioni rischia di acuire la crisi in seno al Csm già terremotato dalle dimissioni di un consigliere e l’autosospensione di altri quattro. E di sfiorare persino il Quirinale, di cui pure Palamara e Lotti parlavano nei loro colloqui.

Le altre toghe

Le novità emergono dalle trascrizioni delle registrazioni e consegnate alla Procura di Perugia che conduce l’inchiesta su Palamara, protrattesi fino agli ultimi giorni di maggio, alla vigilia delle perquisizioni che hanno scoperchiato il caso. Ora si scopre che altri componenti togati partecipavano a trattative e strategie studiate e concordate fuori dal palazzo dei Marescialli, sempre in presenza di Palamara che resta il personaggio centrale di tutta la vicenda: ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, ex membro del Csm ed esponente di punta della corrente centrista Unità per la costituzione, nonché candidato a una poltrona da procuratore aggiunto a Roma. E nei piani studiati a tavolino, ovviamente, c’era anche la sua nomina.

Nel clima già intossicato dalla «soffiata» di Luigi Spina che lo avvisò di essere sotto inchiesta (per questo è indagato e ha abbandonato la poltrona al Csm) e dalla situazione ancora in bilico degli autosospesi per aver partecipato alla riunione con Ferri e Lotti (Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni e Antonio Lepre di Magistratura indipendente, Gianluigi Morlini di Unicost), il coinvolgimento di altri togati - seppure al momento non sia chiaro in presenza di quali persone, oltre a Palamara, e per dire che cosa - pare destinato a far salire sia la tensione che la confusione nell’organo di autogoverno, con il pericolo di provocarne la paralisi .

I veleni sul Quirinale

Una situazione gravissima e senza precedenti, anche in considerazione del fatto che a guidare l’istituzione è il presidente della Repubblica. Del quale nelle intercettazioni parlava Luca Lotti, imputato dopo la richiesta di rinvio a giudizio (favoreggiamento nella vicenda dello scandalo Consip) avanzata nei suoi confronti dalla Procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone, andato in pensione un mese fa. Per questo motivo l’ex sottosegretario e ministro renziano si mostrava particolarmente attento alla successione, mostrando di aderire al piano che stavano mettendo a punto Ferri e Palamara. Che avevano deciso di puntare sul procuratore generale di Firenze Marcello Viola, in contrapposizione al procuratore di Palermo Francesco Lo Voi considerato un erede troppo naturale e «in continuità» di Pignatone. Con il corredo di almeno due procuratori aggiunti alla cui nomina Lotti si mostrava ugualmente interessato.

Nei dialoghi registrati, l’ex ministro avrebbe anche detto a Palamara di essere andato al Quirinale per illustrare la propria vicenda giudiziaria, dipingendosi come una vittima della Procura, e che se ci fosse stato bisogno sarebbe stato in grado di tornarci. Affermazioni senza riscontro, dietro le quali, secondo gli inquirenti, potrebbero celarsi millanterie utili a dare l’idea di allargare al massimo la propria sfera di contatti e influenze. E ad ambienti quirinalizi - seppure in maniera indiretta e mediata attraverso diversi passaggi - avrebbe fatto riferimento anche Palamara nell’interrogatorio ai pm di Perugia, per spiegare di avere già saputo di essere sotto indagine e sotto intercettazione, prima del colloquio con Spina. Senza però smettere di parlare al telefono, in maniera tale da far apparire almeno contraddittoria questa versione.

Il piano per Perugia

L’interesse di Palamara non si fermava alla Procura di Roma, ma si allargava a quella di Perugia dove avrebbe voluto far finire sotto inchiesta l’aggiunto romano Paolo Ielo, che aveva mandato ai colleghi umbri le carte per far avviare l’indagine a suo carico. Nel colloquio intercettato con il pm antimafia Cesare Sirignano chiedeva garanzie rispetto al candidato Giuseppe Borrelli, ora aggiunto Napoli, sponsorizzato proprio da Sirignano. Il quale lo rassicurava sul fatto che Borrelli avrebbe seguito le sue indicazioni. Nei giorni scorsi Borrelli ha consegnato una relazione di servizio al suo capo Gianni Melillo, che l’ha trasmessa ai colleghi di Perugia. E ora commenta: «Apprendo con sorpresa e indignazione che mi sono state attribuite affermazioni mai pronunziate e intenzioni mai nutrite, nell’ambito di una vicenda alla quale sono completamente estraneo. Ho già dato mandato per tutelare in ogni sede giudiziaria la mia onorabilità di uomo e magistrato»..

Effettivamente Palamara non si fidava di Borrelli, tanto da aver predisposto un piano alternativo: proporre come procuratore Francesco Prete , con Erminio Amelio nelle vesti di aggiunto perché, avrebbe detto, «è in contrasto con Ielo». Una versione che Amelio smentisce: «Mi stupisco che venisse fatto il mio nome da parte di una persona con la quale non ho avuto nulla a che fare, tutelerò la mia onorabilità in tutte le sedi competenti. Non sono mai stato nemico di Ielo, con il quale sto ancora lavorando, e lo stesso Ielo qualche mese fa, d’iniziativa, ha espresso parole lusinghiere sulla mia professionalità a colleghi del Csm».

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