Morto Donato Di Veroli, l’ultimo degli ebrei romani sopravvissuti alla Shoah

di Paolo Conti

Fu arrestato nella Capitale nel marzo del 1944 e deportato ad Auschwitz. Non volle mai raccontare l’orrore dei suoi mesi di prigionia

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Donato Di Veroli (foto dal profilo Facebook di Ruth Dureghello)

Con la morte di Donato Di Veroli, Roma perde l’ultimo sopravvissuto alla Shoah testimone diretto della tragedia dell’ebraismo romano: il rastrellamento e la deportazione nei campi di sterminio, tra l’ottobre del 1943 e le ultime ore dell’occupazione nazista della Capitale nel maggio del 1944, di oltre 2091 romane, romani e bambini di religione ebraica. Di Veroli aveva 98 anni e non apparteneva alla lista di chi venne catturato all’alba del 16 ottobre 1943 nella zona dell’Antico Ghetto. Fu arrestato nel marzo del 1944 e deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Dopo la liberazione tornò a Roma. Di Veroli, a differenza di altri ebrei romani come per esempio Piero Terracina, non ha mai voluto raccontare la sua esperienza.

Una scelta che la Comunità ebraica romana ha sempre rispettato. Commenta infatti la presidente Ruth Dureghello: «Dopo la terribile esperienza della Shoah ebbe il coraggio di ricostruirsi una vita e una famiglia dalla forte identità ebraica, che oggi fa attivamente parte della nostra Comunità tramandandone le tradizioni. Piangiamo la sua scomparsa con la famiglia, a cui mandiamo il nostro abbraccio. Sia il suo ricordo di benedizione».

Il sindaco Roberto Gualtieri assicura: «Non dimentichiamo la tragedia che visse e ci impegniamo per far conoscere alle future generazioni la sua storia». L’impegno di Gualtieri è importante. La Memoria si nutre delle testimonianze dirette, per questo è essenziale che si possa contare su materiali audiovisivi, come il film-documentario «Tutto davanti a questi occhi» in cui Sami Modiano (ebreo di Rodi ma poi legato alla Comunità ebraica romana) racconta a Walter Veltroni nel dettaglio la sua persecuzione, il suo internamento e le atrocità che ha visto, ricordato e raccontato.

Come lui, Piero Terracina ricordò e raccontò, con coraggio e ostinazione, fino alla sua morte nel dicembre 2019. Nel 2016, entrambi più che novantenni, se n’erano andati i sopravvissuti romani Enrica Zarfati (ultima donna romana, arrestata poco prima della Liberazione di Roma) e Settimio Piattelli.

Molto prima, nel 2000, l’addio a Settimia Spizzichino, invece ultima donna sopravvissuta al rastrellamento del 16 ottobre 1943: anche lei testimoniò a lungo. Le sue memorie sono raccolte nel volume scritto insieme a Isa di Nepi Olper «Gli anni rubati». La sua storia è anche diventata un documentario dal titolo «Nata due volte: storia di Settimia ebrea romana», tratto da un’intervista rilasciata nel 1998 all’archivio della Survivors of the Shoah Visual History Foundation.

Il numero complessivo dei deportati romani ebrei nel periodo dell’occupazione tedesca di Roma (ottobre 1943-maggio 1944) fu di 2.091 persone (1067 uomini, 743 donne, 281 bambini). Riuscirono a tornare 73 uomini, 28 donne, nessun bambino.

Nel solo rastrellamento dell’Antico Ghetto, secondo le cifre ufficiali definitive, vennero arrestati e deportati 1.259 cittadini romani ebrei, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine. Soltanto 16 di loro sopravvissero: 15 uomini e una sola donna, appunto Settimia Spizzichino.

Tutto questo non per una fredda contabilità ma perché i numeri aiutano a comprendere, nella loro indiscutibile oggettività, la ferita che i nazifascisti infersero alla nostra città e alla più antica comunità ebraica del Mediterraneo. Roma non potrebbe essere Roma senza i suoi ebrei, per questa ragione quel delitto riguarda ogni romana e ogni romano. Ecco perché la Memoria è un esercizio indispensabile, ovviamente oggi ma ancora di più nel futuro e per il futuro.

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4 luglio 2022 (modifica il 4 luglio 2022 | 21:28)