5 maggio 2019 - 07:09

«Regeni l’abbiamo sequestrato noi»: la confessione dell’agente egiziano

Un testimone ascolta il dialogo. «Credevamo fosse una spia inglese». Le dichiarazioni acquisite dalla Procura di Roma che invia una rogatoria al Cairo

di Giovanni Bianconi

Manifestazione davanti a Montecitorio per chiedere verità a giustizia per Regeni
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Oltre agli indizi, ora c’è una confessione, sia pure indiretta. Uno dei funzionari della National security egiziana sospettati del sequestro di Giulio Regeni ha raccontato di aver partecipato al «prelevamento» del giovane ricercatore italiano rapito al Cairo la sera del 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere una settimana più tardi: «Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io l’ho colpito al volto». È la sintesi di ciò che l’agente della sicurezza egiziana ha confidato a un collega straniero nel corso di una riunione di poliziotti africani, avvenuta in un Paese di quel continente nell’estate 2017. A rivelare l’episodio — che può rappresentare una svolta nell’inchiesta condotta dalla Procura di Roma sulla fine di Giulio — è una persona che ha assistito alla conversazione tra il funzionario del Cairo e il suo interlocutore.

Testimone per caso

Un testimone occasionale, presente a un momento conviviale d’incontro, che ha potuto ascoltare e comprendere ciò che diceva l’egiziano perché conosce la lingua araba. Ora questa persona ha deciso di raccontare tutto ai legali e consulenti della famiglia Regeni, coordinati dall’avvocato Alessandra Ballerini che assiste i genitori di Giulio, i quali hanno messo queste dichiarazioni a disposizione dei magistrati romani. Il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco considerano la testimonianza attendibile, logica e congruente con altri elementi acquisiti nell’indagine, per questo nei giorni scorsi hanno inoltrato al Cairo una nuova rogatoria in cui chiedono informazioni che potrebbero fornire ulteriori riscontri. È l’atto di cui ha parlato ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, rivelando di aver avuto un lungo colloquio telefonico con il presidente egiziano Al Sisi: «C’è una rogatoria da perorare oltre che un aggiornamento della situazione libica». Per i magistrati italiani, che insieme agli investigatori del Ros dei carabinieri e dello Sco della polizia stanno cercando da oltre tre anni di raccogliere ogni elemento utile a scoprire la verità sul sequestro, le torture e l’omicidio di Regeni, con un’inchiesta parallela a quella della Procura generale del Cairo, le nuove dichiarazioni del testimone sono molto importanti.

I cinque indagati

Il funzionario indicato dal testimone, infatti, è uno dei cinque che la Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati con l’accusa di sequestro di persona. Se infatti per gli inquirenti egiziani non ci sono elementi utili ad avviare un processo, secondo quelli italiani ci sono indizi sufficienti a ipotizzare il coinvolgimento del generale Sabir Tareq, del colonnello Uhsam Helmy, del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, dell’assistente Mahmoud Najem (tutti in forza alla Ns) e del colonnello Ather Kamal, all’epoca capo della polizia investigativa del Cairo e coinvolto anche nel depistaggio con cui si voleva chiudere il caso addossando ogni responsabilità a una banda di criminali comuni, uccisi in un presunto conflitto a fuoco. Finora ci si era basati essenzialmente sull’elaborazione dei tabulati telefonici e le testimonianze raccolte in Egitto, a cominciare da quella del sindacalista Mohamed Abdallah, il finto amico di Regeni che l’ha denunciato alla polizia del Cairo. Ora si aggiunge una prova testimoniale — sebbene de relato — che arricchisce la stessa ipotesi investigativa. Anche sul movente del sequestro. La persona che ha ascoltato la confessione ha indicato nome e cognome del funzionario perché l’ha visto consegnare al collega straniero il proprio biglietto da visita. Probabilmente gli interlocutori non sapevano che il testimone conosceva l’arabo, e il discorso è caduto su Regeni nell’ambito di uno scambio di considerazioni sulla repressione degli scontri di piazza. In questo contesto l’indagato egiziano ha rivelato che a gennaio 2016 la sua struttura indagava su Regeni, rapito il giorno in cui al Cairo c’era il timore di manifestazioni anti-regime, perché ricorreva l’anniversario della rivolta di piazza Tahrir.

La nuova rogatoria

Il protagonista — secondo quanto riferito dal testimone — s’è soffermato sulle modalità dell’operazione, aggiungendo che dopo il sequestro Giulio fu picchiato. Anche da lui. In quel colloquio l’uomo non avrebbe detto nulla sulle successive torture e sull’esecuzione di Giulio, trovato morto il 3 febbraio sul ciglio di una strada. Nella rogatoria inviata in Egitto la Procura romana chiede lumi su altri nominativi individuati attraverso i tabulati telefonici e ulteriori testimoni da ascoltare, ma la parte più importante sono i possibili riscontri alla confessione che conferma e arricchisce il quadro probatorio costruito fin qui.

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