1 dicembre 2019 - 16:22

Il Papa a Greccio: «Riscoprire il presepe. Farlo in case, scuole e carceri»

Francesco firma la Lettera apostolica sul suo significato e valore: «Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere rivitalizzata»

di Gian Guido Vecchi - Inviato

Il Papa a Greccio: «Riscoprire il presepe. Farlo in case, scuole e carceri» Il Papa a Greccio (Ap)
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GRECCIO (Rieti) - La grotta è aggrappata a settecento metri sul fianco dei monti Sabini, davanti si apre il panorama della piana reatina. È qui che San Francesco d’Assisi, di ritorno da Betlemme, allestì nel Natale 1223 il primo presepe della storia. Ed è qui che il primo Papa a sceglierne il nome ha voluto arrivare per pregare in silenzio e firmare la Lettera apostolica «Admirabile signum» sul presepe: «Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze…Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata».

«Il presepe, così caro al popolo cristiano»

Nelle case e anche nei luoghi pubblici. È come se Papa Francesco si riappropriasse e rivendicasse nel modo più solenne - una lettera apostolica, a Greccio - il significato autentico di quel «mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano», sottraendolo alla retorica sovranista e ad ogni uso politico in Italia e in Europa. Il presepe «suscita stupore» e «ci commuove» perché «manifesta la tenerezza di Dio». San Francesco «realizzò una grande opera di evangelizzazione con la semplicità di quel segno: il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità», scrive il pontefice. Lo stesso arcivescovo Rino Fisichella, presidente del pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, scrive nell’introduzione al testo pubblicato dalla Libreria editrice vaticana: «Il presepe appartiene a tutti, non può essere strumentalizzato, perché quel bambino che tende le braccia si lascia abbracciare da chiunque si accosta a lui».

I bimbi accolgono il Papa

Davanti al Santuario francescano di Greccio, Francesco viene accolto dal coro di decine di bambini con in mano dei palloncini colorati. «È Natale anche qui», cantano. Nella grotta Bergolgio resta a lungo a occhi socchiusi e capo chino, le mani intrecciate, muovendo appena le labbra. Il presepe «è davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare», scrive Francesco. «Fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi». Il Papa ricorda che «l’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme».

L’invenzione del Santo di Assisi

E poi ripercorre, attingendo alle Fonti francescane, l’invenzione del Santo di Assisi: «Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti». È così «che nasce la nostra tradizione», spiega il Papa: «Tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero».

I «segni» del presepe

Il primo biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, «ricorda che quella notte, alla scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione meravigliosa: uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino stesso. Da quel presepe del Natale 1223, “ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia”». Nel testo Francesco spiega il senso dei «segni» del presepe. Il cielo stellato e il buio della notte ci dicono che «Dio non ci lascia soli» anche nella «notte della nostra vita». Le rovine dei palazzi antichi sono «il segno visibile dell’umanità decaduta» e mostrano che «Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario». I pastori «diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione». I mendicanti sono il segno che «i poveri sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi». Il pontefice conclude: «Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli».

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