Per fortuna non è la guerra anglo-boera, anche se ai tempi inglesi e futuri sudafricani si allenavano già con l’ovale - ma la finale dei Mondiali di rugby fra l’Inghilterra di Eddie Jones e gli Springboks di Rassie Erasmus (ore 10 tv Raidue) resta una roba grossa. Non solo rugby, non solo sport. Se ne dubitate, cercate su internet il video del Cambio della Guardia, con le note di «World in Union», l’inno di Ovalia, suonate davanti a Buckingham Palace. Eddie lo Sciamano, nato in Tasmania ma per metà giapponese, una Coppa l’ha già vinta: da vice allenatore del Sudafrica nel 2007, in finale proprio contro l’Inghilterra. E una l’ha persa, proprio con l’Inghilterra, nel 2003 a Sydney, da allenatore dell’Australia.

L’orgoglio inglese
Nel 2015, dopo aver scioccato il mondo da ct del Giappone triturando (guarda caso) il Sudafrica ai Mondiali, ha raccolto i Bianchi dal cestino della spazzatura, distrutti dal flop nel mondiale casalingo. In quattro anni con il suo genio e i suoi mille trucchi ha ricostruito l’autostima e l’identità della squadra: muscoli, fosforo, cinismo. Un rugby splendidamente brutale, eseguito alla perfezione dall’intellettuale (studia Scienze politiche) e ferocissimo Maro Itoje, e dalle terze linee Curry e Underhill, in arte i «kamikaze kids». Ribaltando in semifinale gli All Blacks quando in pochi ci credevano («ma prima della Comaneci nessuno pensava che fosse possibile prendere 10 nella ginnastica») si è guadagnato il ruolo di favorito, e alla vigilia i suoi ragazzi li ha caricati in stile Churchill, attaccando in controluce il pessimismo da Brexit. «Hanno una chance di cambiare il sentimento di una nazione, magari solo fino alle prossime elezioni, ma comunque di cambiare il modo in cui gli inglesi guardano a se stessi, ed è uno dono. Fra Inghilterra e Sudafrica la rivalità non si ferma allo sport, è il contesto sociale che rende interessante la sfida. È il bello del rugby».

Springboks e il sogno Triplete
Anche Rassie Erasmus, 25 anni dopo la finale del ’95, quella di Mandela che stringendo la mano al capitano vincente degli Springboks stappò la nazione Arcobaleno, ha un Paese intero sulle spalle. La questione delle quote nere l’ha dribblata facendo capitano Siya Kolisi, il primo «skipper» di colore in 126 anni, e anche Erasmus, come Jones, ha ridato fiducia ai «Bokke», umiliati nel 2016 dall’Italia a Firenze. Ripartendo dalle basi: contrasti, mischia, touche; più il gioco al piede del furetto biondo Faf De Klerk. Oggi può diventare il ct del Triplete, e mostrare che il rugby davvero non ha più colore: Jones, l’Inghilterra, e un secolo di storia permettendo.

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