Della New York che tutti abbiamo amato, alla quale molti hanno sempre pensato come al luogo animato, acceso e vitale per eccellenza, in questi giorni purtroppo non resta che un malinconico ricordo. 

Sono fresche di ieri le immagini strazianti, circolate sui siti e sui social di tutto il mondo, delle bare di legno bianco allineate in una fossa comune scavata in un angolo neppure troppo remoto del Bronx e fotografate dai droni che sorvolavano la zona. Troppi morti per la Grande Mela ormai in ginocchio,  ed ecco che si è dovuto ideare un sito dove accoglierne i corpi, almeno per il momento, in attesa di un tempo migliore in cui potranno essere ricollocati altrove dai loro cari.

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Ma intanto il disastro continua ed assume forme nuove ogni giorno. Poche ore fa, almeno un centinaio di cadaveri stipati in quattro diversi camion, sono stati trovati fuori dalla sede di una ditta di pompe funebri di Brooklyn. E’ stata la segnalazione di un passante a far scoprire l’orrore: aveva avvertito cattivo odore e notato fuoriuscita di liquidi dal mezzo.

Come riporta il New York Times, a prendere in affitto i camion era stata la Andrew T Cleckley Funeral Home che, per mancanza di spazi nelle sue strutture, vi aveva riposto i corpi conservandoli con ghiaccio o in celle frigorifere, in attesa della loro cremazione.

Negli ultimi 30 giorni i residenti della zona avevano visto il personale dell'agenzia caricare sui camion diversi sacchi per cadaveri e secondo la Abc News ciascun camion conteneva decine di corpi.  Non è stato ancora accertato se si tratti o meno di vittime del coronavirus. Ma la logica porterebbe a una sola risposta. 

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In base alla ricostruzione del quotidiano americano, la refrigerazione di alcuni di quei veicoli aveva smesso di funzionare ed ecco che l’odore della decomposizione dei cadaveri ha cominciato a inondare le vie semideserte della città. Le autorità hanno confermato di non sapere quanti dei deceduti rinvenuti siano morti di Covid-19 e il Dipartimento statale di Sanità ha avviato un'inchiesta. 

Negli Stati Uniti il virus ha ucciso fino ad ora più di 60 mila persone, oltre 18 mila nella sola New York dove le imprese di pompe funebri si trovano sotto pressione e si barcamenano fra ospedali e case di riposo. Le procedure di cremazione a New York non riescono a tenere il ritmo dei decessi e alcune ditte hanno scelto di conservare i corpi dei defunti in camion refrigerati o in cappelle con potenti impianti di aria condizionata trasformate in obitori.

New York, la città americana più colpita dal coronavirus, fatica a gestire il crescente numero di vittime. Fin dai primi giorni di aprile hanno iniziato a scarseggiare personale sanitario,  sacchi per conservare i cadaveri e posti dove collocarli, appunto. Al volo erano stati acquistati 45 obitori mobili e i crematori locali autorizzati a restare in attività 24 ore su 24. E, ancora prima di Pasqua, un medico del Brookdale Hospital di Brooklyn, cristallizzava la situazione in un  frase drammaticamente esplicita: «il flusso di corpi è ormai come un nastro trasportatore».

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In questo quadro, si colloca la scelta di chi ha preferito chiamarsi fuori, per non essere più spettatore e insieme protagonista di una tragedia apparentemente senza fine. E’ accaduto a  Lorna M. Breen, 49 anni, direttrice del dipartimento emergenze del New York-Presbyterian Allen Hospital, che l’altro giorno ha deciso di togliersi la vita dopo essersi dedicata ai malati nei momenti più tremendi della pandemia nella Grande Mela. Era sopravvissuta all’aggressione del virus che aveva coinvolto anche lei, ma evidentemente non è riuscita a sopravvivere al trauma di quanto aveva sperimentato per troppo tempo.

A raccontare la sua storia al New York Times è stato il padre, Philip C. Breen, anche lui medico. «Era davvero nelle trincee della prima linea, ha cercato di fare il suo lavoro e questo l'ha uccisa», ha riferito l'uomo, al quale la figlia aveva descritto le scene devastanti dei pazienti che morivano prima ancora di uscire dalle ambulanze.

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Il dottor Lawrence A. Melniker, un alto dirigente del NewYork-Presbyterian system, un network di ospedali che include il Columbia University Irving Medical Center e il Weill Cornell Medical Center, ha ricordato che l'emergenza Covid-19 ha presentato sfide mentali senza precedenti a New York, epicentro della pandemia in Usa e che i medici, pur essendo abituati a rispondere ad ogni sorta di emergenza, raramente hanno dovuto temere di contagiare se stessi, i loro colleghi, famigliari e amici, sostenendo turni spesso massacranti.

E così, anche Lorna si era ammalata di coronavirus ma, dopo essere guarita, era tornata a lavorare per una settimana e mezzo. Poi l'ospedale l'aveva rimandata a casa e la sua famiglia aveva deciso di portarla con se' a Charlottesville, in Virginia, dove si è tolta la vita.

 

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