DALL’INVIATO A BEIRUT. I sette giorni neri per l’Iran si sono chiusi con una lettera che la dirigenza della Repubblica islamica temeva ma non si aspettava così presto. I tre Paesi europei che hanno firmato l’accordo sul nucleare del 2015 accusano Teheran di violazioni e si appellano al paragrafo 36 dell’intesa. Il che può portare a nuove sanzioni, questa volta delle Nazioni unite, nel giro di cinque settimane. Un colpo alla strategia del presidente Hassan Rohani, che puntava a dividere l’Europa dagli Stati Uniti e a resistere alla «massima pressione» americana il tempo necessario per vedere Trump fuori dalla Casa Bianca o, in caso contrario, a costruire una rete di supporto da Bruxelles a Mosca, e a Pechino.

L’abbattimento del Boeing ucraino, all’alba di mercoledì scorso, ha dato un colpo tremendo alla fiducia nella leadership iraniana da parte della popolazione. Adesso è ancora più difficile riconquistarla. Ieri un nuovo video ha mostrato che ad abbattere il Boeing sono stati due missili sparati ad una distanza di 30 secondi l’uno dall’altro da una base iraniana a circa 12 chilometri dall’aereo.

Ieri gli studenti hanno dato vita a nuove manifestazioni all’ingresso dei principali atenei, dove hanno sfidato i Basij, le forze fedeli alla guida suprema Ali Khamenei incaricate di mantenere l’ordine: «Fuori, ridateci il nostro il Paese», è stato il nuovo slogan. I giovani continuano a sfidare l’apparato di sicurezza, nonostante le cariche e gli arresti, ieri altri trenta. E mantengono la pressione anche dopo le promesse dello stesso Rohani che in un discorso alla tivù ha ribadito che l’abbattimento del Boeing è un «errore imperdonabile» e che «tutti i responsabili dovranno essere puniti» in piena «trasparenza». Un affondo contro l’ala oltranzista e i pasdaran. Ieri ci son stati i primi fermati nell’indagine.

Ma il tempo non lavora a favore dei riformisti. La sponda europea è sempre più debole. Il premier britannico Boris Johnson, rafforzato dal trionfo alle elezioni del 12 dicembre, è irritato per il fermo e la minacciata espulsione del suo ambasciatore. Ha chiesto una «nuova intesa» che ponga limiti anche alla minaccia dei missili balistici. Poco dopo è arrivato il comunicato di Parigi, Londra e Berlino, che accusano l’Iran di aver violato il Trattato e si appellano alla clausola delle «dispute». La mossa potrebbe innescare nuove sanzioni e addirittura portare all’uscita dei Paesi europei dall’accordo, come hanno fatto gli Usa nel maggio del 2018. Da allora Teheran ha superato i limiti nella quantità di uranio e il livello di arricchimento, oltre il limite stabilito del 3,65%, e minaccia spingersi più in là.

I Paesi europei hanno in un primo momento cercato di salvare l’intesa. Hanno creato uno strumento finanziario per aggirare le sanzioni americane, Instex, che però non è decollato. Francia, Gran Bretagna, Germania ribadiscono la volontà di salvare il Trattato ma il passo è un allineamento a Washington e Mosca lo denuncia come una «escalation». Il timore era che i pasdaran, senza questa ulteriore «pressione», riescano a sviluppare ancor più i propri missili balistici. I «cruise» si sono dimostrati efficaci nei raid contro le infrastrutture petrolifere saudite del 14 settembre, e contro la base irachena di Ayn al-Asad, il 3 gennaio. Tanto più che l’Intelligence israeliana valuta in «meno di due anni» il tempo necessario a Teheran per costruire il suo primo ordigno atomico, «se volesse».

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