DALL’INVIATO A BEIRUT. Il regime iraniano cerca di reagire alla rabbia dei giovani scatenata dall’abbattimento del Boeing ucraino lo scorso mercoledì. Oggi sono scattati i primi “arresti”. Il portavoce della Giustizia Gholamhossein Ismaili ha annunciato che “alcune persone” legate all’incidente sono state fermate. È probabile che siano alcuni dei militari dei Pasdaran addetti alla batteria anti-aerea che ha lanciato due missili contro il Boeing 737 dopo averlo scambiato per un velivolo nemico.

Ma non saranno alcuni soldati di basso rango a placare l’indignazione, soprattutto degli studenti universitari che hanno visto molti compagni morire in modo assurdo. L’ha capito l’ala riformista del regime. Il presidente Hassan Rohani è tornato a parlare in tivù: «Per il nostro popolo è molto importante che in questo incidente chiunque abbia commesso un errore o sia stato negligente a qualsiasi livello affronti la giustizia – ha detto -. È stato un errore imperdonabile, una sola persona non può essere l’unica responsabile dell’incidente aereo. Chiunque dovrebbe essere punito, ci vuole un tribunale speciale, e la massima trasparenza perché il mondo ci sta a guardare».

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Teheran, dopo aver negato per quattro giorni, tenta ora di recuperare e ha invitato tecnici canadesi, svedesi, ucraini a collaborare alle indagini. Le scatole nere potrebbero essere portate a Kiev o analizzate da esperti francesi, per più trasparenza. Agli studenti ancora non basta. Ieri per la terza sera consecutiva si sono radunati davanti alle università e hanno marciato verso piazza Azadi. La protesta continua a crescere, nonostante la morsa delle forze di sicurezza, e dei Basij, i “volontari” incaricati di reprimere il dissenso nella Repubblica islamica. Anche ieri ci sono state cariche e lancio di lacrimogeni. Il regime sembra però esitare nell’uso della violenza brutale che ha stroncato l’ultima rivolta, lo scorso 15 novembre.

«Hanno ammazzato le nostre élite e le hanno rimpiazzate con religiosi», hanno cantato ieri gli studenti all’ingresso delle università, oltre agli slogan contro i “bugiardi” che si devono “dimettere”, compresa la guida suprema Ali Khamenei.

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L’ondata di commozione di fronte alle giovani vite spezzate in maniera assurda incrina il consenso per il regime anche ai livelli più alti, fra le personalità privilegiate. Una conduttrice delle tv di Stato ha annunciato le sue dimissioni: «Non potevo credere all’uccisione dei miei compatrioti. Chiedo scusa per aver mentito per tredici anni». Dopo la fuga della campionessa olimpica di taekwondo, Kimia Alizadeh, ieri è stato il capitano della nazionale di pallavolo maschile, Said Marouf, a protestare su Instagram: «Spero che l’Iran abbia visto il suo ultimo spettacolo di inganno e stupidità».

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Anche l’assedio internazionale mette in difficoltà il regime, nonostante la visita alla guida suprema dell’emiro del Qatar Al-Thani, sottolineata dai media statali. La Gran Bretagna ha convocato ieri l’ambasciatore iraniano a Londra, dopo che sabato sera il suo rappresentante era stato arrestato e trattenuto per qualche ora a Teheran. Il ministro degli Esteri Dominic Raab ha denunciato la «flagrante violazione del diritto internazionale» e ha precisato che la sicurezza alla delegazione «è stata rivista», cioè aumentata. Anche il Canada, con le sue 57 vittime nel disastro, si è allineato a Londra e Washington in questa fase. Il premier Justin Trudeau chiede un’assunzione di responsabilità più precisa a Teheran e ha giurato che non riposerà «fino a quando non avremo la giustizia che le famiglie meritano».

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