ROMA. Ormai è una battaglia di nervi epistolare. Alla lettera con cui Atlantia ribadiva le proprie condizioni per chiudere un accordo su Autostrade, il governo risponderà con un’altra lettera e un avvertimento: entro dieci giorni il presidente del Consiglio Giuseppe Conte prenderà una decisione. Se Atlantia non si muoverà di un millimetro nella direzione del governo, spiegano a Palazzo Chigi, sarà revoca della concessione. L’annuncio che molti attendevano per ieri, data di scadenza dell’ultimatum fissato dopo il naufragio della trattativa tra la holding dei Benetton e Cassa depositi e prestiti, non c’è stato. Il premier ha riunito un vertice a Palazzo Chigi e dopo un confronto con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, la collega dei Trasporti Paola De Micheli e i capi di gabinetto, non ha scandito la solita minaccia sulla revoca, consapevole che questa volta o ci sarebbe stata davvero o sarebbe suonata come una tromba sfiatata. Il governo concede ad Atlantia ancora un pugno di giorni e fissa l’ennesimo d-day in un Consiglio dei ministri da calendarizzare. La resa dei conti non sarà al Cdm di lunedì, dedicato alla manovra, come si era ipotizzato in un primo momento, proprio perché Conte e Gualtieri sono convinti che un briciolo di speranza che la società torni a sedersi al tavolo con Cdp ci sia. La lettera, che sarà firmata dal segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa e dai capi di gabinetto del Tesoro e del Mit, capovolge le argomentazioni di Atlantia e rispedisce al mittente le accuse. È la società - è la conclusione del governo - ad aver cambiato le condizioni che avevano portato a un accordo la notte del 14 luglio. Erano stati i manager dei Benetton negli scorsi giorni a sostenere che il ministero dei Trasporti, in una lettera del 2 settembre, aveva violato le logiche del libero mercato vincolando la transazione per la chiusura del procedimento di revoca alla buona riuscita del negoziato con Cdp, società controllata dal Tesoro, come da accordi a luglio. Sarebbe una soluzione indigesta agli azionisti, è la replica di Atlantia, che rivelerebbe i piani per una nazionalizzazione di fatto: «Un esproprio di Stato» è la definizione usata.

Un logoramento apparentemente senza soluzione: anche perché al centro di questa contesa c’è l’indisponibilità della società a concedere la manleva. Per l’acquirente, una garanzia contro i danni indiretti conseguenti al crollo del Ponte Morandi, avvenuto nell’agosto 2018. Una mole di possibili risarcimenti che al momento risulta incalcolabile. Il governo ha ripreso in mano una proposta di compromesso - con due opzioni - formulata da Cdp e già respinta da Atlantia. In una delle due opzioni, una quota di Aspi rimarrebbe in mano ai Benetton, senza diritti di governance, congelata in attesa di quantificare i danni. Una volta calcolato il valore, la cifra verrebbe sottratta dall’incasso della vendita delle azioni rimanenti. Come spiega una fonte vicina al dossier, è una soluzione che Atlantia aveva sperimentato nel 2013 ai tempi della fusione con Gemina, per una richiesta danni di oltre 800 milioni di euro. Altre alternative, al momento, non risultano accettabili per il governo. Né lo è per Cdp lo sconto sull’acquisto di Autostrade, proposto l’altro ieri dalla controllante: vorrebbe dire stabilire virtualmente oggi quanto peseranno le cause civili di domani. 

I commenti dei lettori