Chissà che non si avvicini una svolta per la crisi venezuelana. Perché dopo Maduro, ora anche Guaidó chiede l’intervento di papa Francesco per una sorta di mediazione. E lo invita anche a Caracas. Due giorni dopo che lo stesso Pontefice, sul volo di ritorno dal viaggio negli Emirati Arabi Uniti, ha detto che per un intervento diplomatico vaticano servirebbero innanzitutto la volontà e la richiesta di entrambe le controparti.

In un'intervista a Sky Tg24 il presidente autoproclamato del Venezuela Juan Guaidó afferma: «Faccio un appello affinché tutti quelli che possono aiutarci, come il Santo Padre, possano collaborare per la fine dell'usurpazione, per un governo di transizione, e a portare a elezioni veramente libere in Venezuela, al più presto. Sarei felice di ricevere il Papa nel nostro Paese, un Paese molto cattolico, molto devoto, di grande tradizione religiosa». 

Nei giorni scorsi Nicolas Maduro aveva richiesto - sempre ai microfoni di Sky Tg24 - la mediazione del Pontefice, a cui ha scritto una lettera, come confermato dallo stesso Bergoglio e dal segretario di Stato vaticano cardinale Pietro Parolin. 

Aggiunge Guaidó: «La cosa drammatica in questo momento in Venezuela è che lo spargimento di sangue è in corso. Il 23 gennaio abbiamo avuto una manifestazione senza precedenti nel nostro paese, in 53 città del Venezuela, milioni di persone nelle strade: quando le persone stavano ritornando a casa, dei gruppi paramilitari armati, denominati collettivi o gruppi del Faes, che sono una unità delle forze armate, hanno assassinato a sangue freddo molti di questi ragazzi per cercare di intimidirci, di farci paura». Questo spargimento di sangue «è responsabilità di chi usurpa il palazzo presidenziale».

Stamani il Vaticano, per bocca del direttore ad interim della Sala stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti, ha ribadito che «il Santo Padre si è sempre riservato e dunque si riserva la possibilità di verificare la volontà di ambedue le parti, accertando se esistano le condizioni per percorrere questa via».

L’altro ieri, 5 febbraio, durante il volo Abu Dhabi-Roma il Papa, nella tradizionale conferenza stampa sull’aereo papale, ha chiarito che per un’azione diplomatica della Santa Sede in Venezuela non è sufficiente la volontà di uno solo. Dunque la lettera che Maduro aveva mandato al Vaticano non bastava: occorreva anche una richiesta di intervento da parte della corrente di Guaidó. «Ci sono dei piccoli passi, e l’ultimo è la mediazione - ha spiegato - Ci sono passi iniziali, facilitatori, non solo per il Vaticano ma in tutta la diplomazia. Si fa così in diplomazia. Ho saputo prima del viaggio che arrivava col plico diplomatico una lettera di Maduro. Non l’ho ancora letta, vedremo che cosa si può fare». Ma perché si faccia una mediazione, «ci vuole la volontà di ambedue le parti, che siano ambedue le parti a chiederla». 

Poi ha ricordato che la Santa Sede «nel Venezuela è stata presente nel momento del dialogo in cui c’erano (l’ex premier spagnolo) Zapatero e mons. Tscherrig e poi ha continuato con mons. Celli. E lì è stato partorito un topolino. Adesso vedrò quella lettera, vedrò che cosa si può fare. Ma a condizioni che lo chiedano ambedue le parti. Io sono sempre disposto».

Già nei giorni in cui il Papa era a Panama per la Giornata mondiale della Gioventù (23-28 gennaio), tra l’altro in presenza di molti ragazzi e figure ecclesiastiche venezuelani, veniva chiamato in causa per questa vicenda politico-diplomatica. «La gente vuole sentire il suo appoggio, il suo aiuto e il suo consiglio», gli era stato comunicato. Nel Paese centroamericano il Pontefice aveva chiesto una soluzione giusta e pacifica, nel rispetto dei diritti umani di tutti. In molti si erano chiesti però che cosa significassero concretamente queste parole così prudenti, e se per Bergoglio la soluzione passasse attraverso il riconoscimento di Juan Guaidó. Tutto ciò mentre la Chiesa locale venezuelana era in campo con vescovi e preti per le strade a manifestare contro Maduro. Il Papa aveva spiegato che «appoggia in questo momento tutto il popolo del Venezuela perché sta soffrendo». Se invece avesse sottolineato ciò che dice una o l’altra parte, «mi esprimerei su qualcosa che non conosco», e sarebbe «un’imprudenza pastorale da parte mia e farei danni». Francesco aveva rivelato di essere terrorizzato dalla possibilità di un bagno di sangue. Poi, il passaggio che è diventato un messaggio diplomatico chiaro: «Devo essere… non mi piace la parola “equilibrato”, voglio essere pastore e se c’è bisogno di un aiuto, che di comune accordo lo chiedano». Insomma, intanto le parti concordino una richiesta di aiuto, e poi io certamente lo darò: questo ha fatto capire più volte il Vescovo di Roma. 

Dunque, da qui in avanti, ci si aspetta che la diplomazia della Santa Sede inizi a lavorare con il suo stile: sotto traccia, per cucire e stabilizzare la situazione. Potrebbe capitare come per il disgelo Stati Uniti-Cuba, quando Barack Obama e Raul Castro concordarono sulla figura del Papa argentino come mediatore e sul Vaticano come territorio adatto per collocare il tavolo di dialogo. E così andò: le trattative si svolsero segretamente Oltretevere, e Obama e Castro nel giorno storico dell’annuncio della fine della crisi, il 17 dicembre 2014, non mancarono di ringraziare a gran voce Francesco. 

Per il Venezuela, la Santa Sede potrà avere due assi nella manica: Parolin, e il sostituto per gli Affari generali monsignor Edgar Peña Parra. Il primo è stato nunzio in Venezuela. Il secondo è venezuelano.

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