Di fatto i Cpr sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione

I Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono strutture dove vengono portati i cittadini non comunitari sprovvisti di un regolare documento di soggiorno o già destinatari di un provvedimento di espulsione. In Italia ce ne sono attualmente 10 -non tutte operative – ma il Governo ha manifestato l’intenzione di realizzarne uno in ogni Regione. Per il via libera al piano – a quanto apprende LaPresse – ci vorranno circa due mesi, nel corso dei quali si valuterà l’elenco delle strutture considerate idonee. Verranno privilegiati i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante interventi di adeguamento, resi adatte allo scopo.

Le strutture attualmente esistenti si trovano a Roma, Milano (riaperto nel 2020), Bari, Brindisi, Caltanissetta, Torino (al momento chiuso), Palazzo San Gervasio (Potenza), Trapani, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Macomer (Nuoro).

Di fatto i Cpr sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione: se questo non è possibile nell’immediatezza, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario nel Cpr più vicino. La permanenza massima – dopo le misure concordate nei giorni scorsi dal governo – sale da 6 a 18 mesi, nel corsi dei quali verranno fatti gli accertamenti dovuti, procedendo al rimpatrio di chi non ha diritto alla protezione internazionale.

Istituiti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano con il nome di Cpt – Centri di Permanenza Temporanea – furono poi rinominati Cie – ovvero Centri di Identificazione ed Espulsione – dalla Legge Bossi-Fini del 2002, fino all’attuale denominazione definita dalla Legge Minniti-Orlando del 2017.

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