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Estradizione ex Br i familiari delle vittime «a Strasburgo per avere giustizia non vendetta»

In occasione della conferenza stampa per presentare le motivazioni del ricorso alla Cedu, forniti i dati sulle vittime del terrorismo: 500 morti negli anni di piombo

di Patrizia Maciocchi

6' di lettura

«Nel periodo degli anni di piombo, il nostro Paese è stato lacerato dalla morte di 500 vittime per mano dei terroristi. È necessario che alla commissione di un reato corrisponda una pena. È un pessimo esempio che chi delinque trovi rifugio e rimanga impunito». A dirlo è Potito Perruggini, presidente dell’Osservatorio nazionale “Anni di piombo” durante la conferenza stampa dove è stato presentato il ricorso alla «Corte europea dei diritti dell'Uomo» contro il diniego alla richiesta di estradizione nei confronti dei 10 terroristi italiani rifugiati in Francia. Esponenti per lo più delle Br che hanno trovato asilo in Francia, dopo gli anni di piombo, sulla scia della dottrina Mitterand. A presentare l’istanza agli eurogiudici sono stati i familiari di Michele Granato - l’agente di polizia ucciso dalle Brigate Rosse il 9 novembre del 1979 a Roma - in seguito ad un’ iniziativa, promossa dall’avvocato Walter Biscotti, dopo il no della Suprema corte francese del 28 marzo scorso, da considerare definitivo vista la rinuncia della procura generale a contestarlo.
Per i 10 , di cui 8 uomini fra i quali Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio Calabresi, e 2 donne (le ex Br Marina Petrella e Roberta Cappelli) la richiesta di estradizione era già stata respinta dal Tribunale.

Le ragioni del ricorso

Oggi a spiegare le ragioni del tentativo di ottenere giustizia sono i familiari delle vittime. «Il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo non è un oltraggio alla Francia ma un chiarimento di quelli che sono i pesi e contrappesi tra vittima e carnefice, chiediamo di ottenere quella giustizia perché per troppi anni il nostro Paese non ci è riuscito. Non si può difendere sempre e solo Caino». Lo ha detto Alberto Torregiani, figlio del gioielliere Pierluigi, ucciso a Milano il 16 febbraio 1979 da un commando dei Pac «ho accettato di essere presente al fianco dei Granato perché loro non hanno voce, come tante altre famiglie che vengono ignorate – ha aggiunto Torregiani - l’oltraggio invece sta nel fatto che ancora oggi dopo trent’anni non si dia peso al dolore che ogni vittima e famiglia porta avanti ogni giorno».

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L’avvocato Walter Biscotti

L’iniziativa del ricorso è stata dell’avvocato penalista Walter Biscotti, anche lui presente nella sala stampa estera. «Centinaia di servitori dello Stato hanno dato la vita e il loro sacrificio è servito affinché la democrazia vincesse. I familiari delle vittime però sono quelli che hanno dovuto portare tutto il peso sulle loro spalle - ha detto Biscotti - se esistono nuovi padri della patria io credo siano quei servitori dello Stato caduti per salvare la democrazia». Biscotti ha ricordato che il primo passo sarà, si spera, la dichiarazione di ammissibilità del ricorso da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo.

I fratelli dell’agente Granato

Per i fratelli di Michele Granato il ricorso a Straburgo è l’ennesimo tentativo di aver giustizia, dopo oltre 40 anni di sofferenza «Noi non vogliamo vendetta ma giustizia. Una giustizia che le autorità francesi ci hanno negato. Per noi è una via Crucis che dura da 44 anni - hanno affermato Pietro e Santina Granato - quelli che vivono in Francia sono assassini: uccidevano servitori dello Stato, per loro erano numeri - hanno aggiunto i familiari che vivono in Sicilia - il nostro ricordo va a quel giorno: appurammo della morte chi dai giornali chi dalle forze dell'ordine. Un dolore che dura da oltre 40 anni».


Il rispetto alla vita privata e familiare degli ex terroristi

Il no dei francesi era stato motivato dal la presidente della Chambre de l’Instruction con l’esigenza di rispettere la vita privata e familiare e il diritto a un processo equo, garanzie previste dagli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, il giorno dopo, aveva però affermato che «quelle persone, coinvolte in reati di sangue, meritano di essere giudicate in Italia». Di conseguenza, il procuratore generale della Corte d’appello di Parigi, Rémy Heitz, in rappresentanza del governo, aveva immediatamente presentato un ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendo necessario appurare se gli ex terroristi condannati in Italia in contumacia beneficeranno o meno di un nuovo processo se la Francia li consegnerà. Lo stesso procuratore contestava la decisione del tribunale sulla presunta violazione della vita privata e familiare degli imputati.

Diverso era stato il punto di vista degli ex brigatisti. «Quanto mi fa godere la Cassazione francese...». Questo era stato il commento su Facebook di Enrico Galmozzi, fondatore delle Brigate combattenti di Prima Linea, alla decisione dei giudici di Parigi di confermare il rifiuto all’estradizione dei 10 ex Br degli anni di piombo in Italia. Galmozzi è stato condannato per gli omicidi dell'avvocato Enrico Pedenovi e del poliziotto Giuseppe Ciotta.

La possibile violazione del diritto alla vita

A chiedersi quale giustizia può preoccuparsi del rispetto della vita privata e familiare di chi si è macchiato di atti di sangue, senza pensare ai diritti di chi quegli atti li ha subìti, erano stati i familiari delle vittime. Oggi sono proprio loro a tentare la strada di Strasburgo.

Per l’avvocato Andrea Saccucci, professore di diritto comunitario e internazionale, la Cedu potrebbe essere chiamata ad esprimersi sulla violazione da parte della Francia, dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo , sul diritto alla vita, avendo precluso l’esecuzione delle sentenze di condanna.

Chi sono i dieci ex militanti rifugiati in Francia

In Italia devono scontare pene passate in giudicato, a oltre 40 anni dai fatti per i quali la giustizia li ha riconosciuti colpevoli. Sono stati tutti arrestati, nell’aprile 2021, nell’ambito della cosiddetta operazione Ombre rosse
Ma chi sono gli ex militanti di estrema sinistra sui quali si è pronunciata la Cassazione francese? Ex di Lotta Continua, ex Br e altre formazioni di estrema sinistra.
Luigi Bergamin, appartenente a “Prima Linea”, deve scontare la pena residua di 16 anni, 11 mesi e un giorno inflitta con sei condanne definitive per banda armata e istigazione alla commissione di attentati contro l'integrità dello Stato, detenzione e porto d’armi, rapina aggravata, furto aggravato, associazione per delinquere e omicidio aggravato per la morte dell’agente della Digos di Milano Andrea Campagna, avvenuto nel capoluogo lombardo il 19 aprile 1979, e l’omicidio del maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro, avvenuto a Udine il 9 giugno 1978.
Raffaele Ventura, appartenente alla organizzazione eversiva Formazioni comuniste combattenti, dal 31 gennaio 1986, ha acquisito la cittadinanza francese confermata il 14 agosto 1986 dal ministero degli Affari sociali transalpino. Deve espiare la pena di 24 anni e 4 mesi di reclusione per l’omicidio del brigadiere Antonio Custra, banda armata, rapine, detenzione e porto illegale di armi, poiché colpito da ordine di carcerazione, emesso il 16 febbraio dalla procura generale della Repubblica di Milano.
Giovanni Alimonti, ex Br, deve scontare una pena di 11 anni, 6 masi e 9 giorni, accusati del tentato omicidio di un vicedirigente della Digos di Roma, Nicola Simone.
Giorgio Pietrostefani, 79 anni, è stato, insieme con Adriano Sofri, tra i fondatori di Lotta Continua. È stato condannato a 22 anni come uno dei mandanti dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi.
Enzo Calvitti, ex Brigate Rosse, condannato a 18 anni, 7 mesi e 25 giorni e 4 anni di libertà vigilata per i reati di associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo, ricettazione di armi. La sentenza della Corte d’appello di Roma è diventata esecutiva nel settembre 1992.
Roberta Cappelli, ex Brigate Rosse, condannata all’ergastolo per tre omicidi commessi a Roma negli Anni ’80. Cappelli è accusata di aver ucciso il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, l'agente di polizia Michele Granato, il vicequestore Sebastiano Vinci.
Marina Petrella, ex Br, condannata all’ergastolo per l’omicidio del generale Galvaligi e per il sequestro del giudice Giovanni D’Urso e dell’assessore regionale della Campania della Dc Ciro Cirillo.
Maurizio di Marzio, condannato in via definitiva, per reati commessi negli anni del terrorismo. Nel 1981 partecipò all’attentato contro il dirigente dell’Ufficio provinciale di collocamento di Roma, Enzo Retrosi. Nel 1982, tentò il sequestro dell’allora vicecapo della Digos di Roma, Nicola Simone.
Sergio Tornaghi, ex Brigate Rosse, condannato all’ergastolo per partecipazione a banda armata, propaganda e apologia sovversiva, pubblica istigazione, attentato per finalità di terrorismo e di eversione, detenzione e porto illegale di armi e violenza privata. È accusato e condannato anche dell'omicidio del direttore generale della “Marelli” di Sesto San Giovanni, Renato Briano.
Narciso Manenti, ex Nuclei Armati Contropotere Territoriale, condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri.

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