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Più gas dalla Russia col riavvio di Nord Stream, ma i prezzi non scendono

Dopo un iniziale ribasso il combustibile recupera quota 156 euro al Ttf. Il mercato guarda già alla prossima stretta, che il Cremlino stesso ha evocato, forse proprio per evitare una correzione dei prezzi. Intanto si profilano nuovi rischi, sul fronte del Gnl

di Sissi Bellomo

L'Ue vara il piano sul gas: 'Ridurre i consumi del 15%'

3' di lettura

Il mercato del gas non smette di preoccupare. Il gasdotto Nord Stream, in manutenzione per dieci giorni, ha ripreso a funzionare dalla prima mattina di giovedì 21, nel rispetto del piano di lavori anticipato da Gazprom. Ma al Ttf il prezzo del combustibile per settembre è risalito a 156 euro per Megawattora (+0,6% rispetto a mercoledì).

In avvio di seduta c’era stato uno scivolone di oltre il 6%, a un minimo di 145 euro: segno che molti operatori guardavano ancora con scarsa fiducia alla scadenza, nonostante le richieste di trasporto sui gasdotti connessi a Nord Stream avessero rassicurato fin dalla vigilia sulla riapertura dei rubinetti.

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Questa c’è stata davvero, dalle 6 del mattino ora di Mosca, le 5 in Italia. E anche Eni ha ottenuto un immediato beneficio: le sue forniture di gas russo risalgono di oltre un terzo, a 36 milioni di metri cubi al giorno dai precedenti 21 milioni, ha fatto sapere la compagnia.

Forse è abbastanza per concedersi un breve sospiro di sollievo, ma non per chiudere gli occhi di fronte ai rischi, che non sono affatto venuti meno. Nord Stream è ripartito, ma funziona comunque al 40% della capacità, come tra metà giugno e l’11 luglio, data di inizio dei lavori. E il pericolo di un’ulteriore stretta è dietro l’angolo: nel giro di pochi giorni i flussi potrebbero ridursi al 20%.

A sollevare l’allarme – forse proprio con l’obiettivo di impedire una correzione dei prezzi – è stato il presidente russo in persona, Vladimir Putin, ricordando che altre turbine del gasdotto del Baltico necessitano di revisione e avvertendo che dal 26 luglio Mosca dovrà ridurre ancora la portata se non otterrà garanzie tecniche e legali sufficienti per rimettere al suo posto il macchinario restituito dal Canada.

L’Europa pianifica – non senza polemiche sulla proposta presentata mercoledì 20 – un razionamento dei consumi di gas. Ma nel frattempo a spaccare il fronte è intervenuta ancora una voltà l’Ungheria, che ha ufficialmente chiesto a Mosca un aumento delle forniture di gas: servono altri 700 milioni di metri cubi, in aggiunta ai 4,5 miliardi previsti dai contratti con Gazprom, ha fatto presente il ministro degli Esteri Peter Szijjarto ricevuto dal suo omologo russo Sergei Lavrov. Quest’ultimo ha assicurato che «la richiesta sarà immediatamente inoltrata e studiata».

All’orizzonte cominciano intanto a delinearsi ulteriori motivi di apprensione per l’Europa assetata di gas. Finora è stato soprattutto il Gnl a consentirci di fronteggiare il crollo delle forniture russe. E la debolezza della domanda in Asia ha giocato a nostro favore: tre metaniere su quattro, di quelle provenienti dagli Usa, hanno scaricato nel Vecchio continente nei primi 4 mesi dell’anno. Ma ora ci sono segnali di risveglio della concorrenza sui carichi.

Preoccupati anche dalla Russia, che potrebbe restringere ulteriormente le forniture (Gnl compreso) in vista dell’inverno, Giappone e Corea del Sud sono tornati con decisione sul mercato spot in cerca di gas liquefatto.

Pur di aggiudicarsi un carico Nippon Steel nei giorni scorsi ha sborsato il prezzo più alto mai pagato nella storia del Paese del Sol Levante, riferiscono fonti Reuters: 41 $/mmBtu.

La grande incognita a questo punto è la Cina, che finora – soprattutto a causa dei lockdown da Covid – è stata insolitamente parca negli acquisti: le sue importazioni di Gnl quest’anno sono avviate a diminuire del 16%v (a 69 milioni di tonnellate) stima Wood Mackenzie. Sarebbe solo la seconda contrazione da quando Pechino ha iniziato ad importare Gnl nel 2006.

I cinesi hanno anche rivenduto sul mercato parecchi carichi di gas liquefatto, che spesso abbiamo comprato proprio in Europa, a caro prezzo ma soddisfando una reale necessità. Non durerà per sempre, avverte Samantha Dart di Goldman Sachs, intervistata da Bloomberg Tv: «Tutto questo potrebbe cambiare rapidamente nel momento in cui l’attività economica si risolleva in Cina, il risultato è che ci saranno meno carichi per l’Europa».

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