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Manovra correttiva, Giorgetti rompe il tabù: «Vedremo». Il nodo del debito pubblico

di Gianni Trovati

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Giancarlo Giorgetti (foto Ansa)

3' di lettura

Il «vedremo» pronunciato in mattinata dal sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti in risposta a chi gli chiedeva lumi sui rischi di manovra correttiva ha riacceso gli allarmi della politica sulla sorte dei nostri conti pubblici. Con l’indicazione di una verifica «nei prossimi mesi», in termini strettamente tecnici Giorgetti ha detto poco più di un’ovvietà.

Lo stesso ministro dell’Economia Tria, nei suoi molteplici interventi sul tema, ha sostenuto in più di un’occasione di non vedere «per ora» l’esigenza di una correzione dei conti, e sulla stessa linea si è mosso l’Ufficio parlamentare di bilancio in una recente audizione informale al Senato. Ma sul piano politico c’è di più.

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Difficilmente Giorgetti parla a caso. In estate aveva messo in conto l’«attacco dei mercati» poi arrivato con lo spread verso quota 300. Poche settimane fa ha avvertito tutti sui rischi per la tenuta del governo per i dossier sull’autonomia, e le convulsioni pre, durante e post consiglio dei ministri di giovedì sono tornate a dargli ragione. Con questi precedenti, è complicato ignorare la scelta dell’esponente del Carroccio, solitamente schivo, di tornare a parlare. E di dire che la manovra correttiva è tutt’altro che esclusa.

Giorgetti, come Tria, sa bene che più delle cervellotiche formule sul deficit strutturale il problema è nel debito pubblico. Che quest’anno rischia di crescere ancora. E sa di conseguenza che prima ancora di Bruxelles bisognerà convincere gli investitori sul fatto che i titoli italiani continuano a essere quel “buon affare” sottolineato da vari esponenti di governo dopo le ultime aste. Buon affare, va da sé, per chi acquista, non per il Tesoro che vende e deve pagare gli interessi. Sa infine che il calendario delle verifiche è stretto, e poggia su due passaggi chiave: all’inizio di aprile, quando Roma dovrà scrivere il Def, e all’inizio di giugno, quando le elezioni europee consegneranno un Parlamento modificato ma non stravolto nei suoi rapporti di forza.

Sul debito, il programma di bilancio italiano è chiaro. Ma pieno di incognite. Con una crescita tendenziale allo 0,6%, dicono i documenti inviati a fine anno alla commissione Ue, il peso del debito sul Pil rimarrebbe invariato. Ma Roma conta di ridurlo di un punto grazie a un maxi-programma di privatizzazioni da 18 miliardi (l’1% del Pil, appunto). Sono però bastate poche settimane a capire che lo 0,6% di crescita dello scenario di base, per non parlare dell’1% fissato come obiettivo, per quest’anno rischia di essere una chimera. Oggi le previsioni dei principali analisti oscillano fra 0 e +0,4%, ed è facile che i prossimi aggiornamenti dei dati congiunturali diano nuovi argomenti ai pessimisti.

La maxicessione di quote nelle partecipate pubbliche rimane poi un’ipotesi complicata perché i prezzi di Borsa sono bassi e Cdp non può (e afferma di non volere) far da raccoglitore delle vendite del Mef. Svendere per passare la nottata, rinunciando per di più ai dividendi futuri, rischia di non essere la mossa migliore. Nelle prossime settimane al ministero dell’Economia bisognerà scrivere le tabelle del Def: e tradurre in cifre ufficiali questi punti interrogativi.

Il Def dovrà poi spiegare che il deficit nominale non è già più in linea con quel «2,04%» a cui si è aggrappato l’accordo di fine anno con la commissione Ue. Al momento il fabbisogno del settore pubblico è in linea con le previsioni, e le spese dei prossimi mesi dipenderanno dal successo effettivo di quota 100 e soprattutto del reddito di cittadinanza, ora all’inizio di un cammino applicativo pieno di ostacoli. Le previsioni più recenti indicano per ora un deficit/Pil tra il 2,3% e il 2,5%, con diverse traduzioni possibili in termini di indebitamento netto strutturale sulla base dei calcoli sulla «componente ciclica» del disavanzo. Ma Output gap, Pil potenziale e le altre (sempre contestate a Roma) formule della contabilità europea possono fare poco per contenere i rischi di crescita del debito. E le elezioni europee possono puntare a cambiare gli equilibri politici in Europa. Ma non la matematica e le sue conseguenze sui programmi degli investitori.

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