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  • Lunedì 11 luglio 2022

Cosa sono questi “Uber files”

Rivelazioni arrivate ai giornali mostrano come Uber, tra il 2013 e il 2017, usò metodi controversi per espandersi nel mondo

Una protesta dei tassisti di Parigi nel 2015 (Alain Apaydin/ABACAPRESS.COM)
Una protesta dei tassisti di Parigi nel 2015 (Alain Apaydin/ABACAPRESS.COM)
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Domenica un consorzio di giornali internazionali guidato dal britannico Guardian ha pubblicato i cosiddetti “Uber files”, una grossa quantità di documenti trafugati a Uber, il servizio statunitense di noleggio di auto con autista, e riferiti al periodo tra il 2013 e il 2017, quello di maggior crescita internazionale per l’azienda.

Gli Uber files sono composti da 124 mila documenti, tra cui email, sms, presentazioni a uso interno dell’azienda e altro materiale, e mostrano come Uber, sotto la guida del cofondatore e amministratore delegato Travis Kalanick, avesse adottato tecniche di pressione politica estremamente aggressive, che in alcuni casi sembrano aver superato i limiti dell’etica, sviluppando rapporti molto stretti con politici e istituzioni e usando sistemi tecnologici per nascondere la propria attività alle autorità dei paesi in cui operava. Non è chiaro tuttavia se i comportamenti di Uber descritti nelle rivelazioni costituiscano reato e potranno portare all’apertura di grosse indagini.

Non è chiaro (nessuno dei giornali lo spiega) come questi documenti e informazioni siano arrivati ai giornali.

Le accuse nei confronti di Uber non sono del tutto nuove: è ben noto da anni che Uber, startup americana fondata nel 2010, ebbe una crescita eccezionale in pochissimi anni grazie a un atteggiamento aggressivo, spregiudicato e spesso poco rispettoso delle leggi e delle regole. L’amministratore delegato Kalanick divenne il simbolo di questo atteggiamento di sfida e di aperta ostilità nei confronti delle autorità, che provocò grossi scandali. Alla fine, nel 2017, man mano che gli scandali montavano (comprese alcune accuse di molestie sessuali), Kalanick fu costretto a dimettersi, e l’azienda dopo di lui cambiò radicalmente atteggiamento.

Ma gli Uber files dettagliano e ampliano vari elementi della storia, descrivendo per esempio come le attività di lobby e pressione politica di Uber arrivassero anche a politici molto noti. Tra questi c’è il presidente francese Emmanuel Macron, che quando era ministro dell’Economia, tra il 2014 e il 2016, sviluppò una relazione molto stretta con Kalanick: i due si vedevano spesso (si chiamavano per nome, Emmanuel e Travis) e Macron promise all’azienda che avrebbe modificato le regolamentazioni sui trasporti per favorire l’ingresso di Uber nel mercato francese, attraverso un compromesso che prevedeva la chiusura del servizio più controverso di Uber e regole più favorevoli per gli altri.

Contatti ugualmente stretti ci furono con l’olandese Neelie Kroes, che era stata commissaria europea per la Concorrenza e che aiutò Uber a ottenere influenza dentro al governo dei Paesi Bassi.

Anche queste rivelazioni vanno in un certo senso messe nel loro contesto: in quegli anni, soprattutto tra il 2013 e il 2015, Uber era riuscito con successo a presentarsi come una startup che aveva l’obiettivo di cambiare in meglio l’inefficiente e anticoncorrenziale mondo dei taxi, offrendo servizi migliori e tariffe più vantaggiose: molti politici di tutto il mondo videro in Uber uno spiraglio per riformare il settore dei trasporti locali, che molto spesso è poco competitivo e dominato da monopòli chiusi, come quello dei tassisti.

Soltanto negli anni successivi, quelli che portarono alle dimissioni di Kalanick, si capì che Uber aveva violato molte regole per ottenere la sua eccezionale crescita, che Kalanick aveva avuto un atteggiamento tossico e sprezzante e che anche le fondamenta economiche del business non erano nemmeno così solide: le tariffe più economiche e i servizi migliori erano di fatto sussidiati dalle enormi quantità di investimenti ricevuti da Uber da grossi investitori finanziari. Uber operava in grossa perdita, e secondo molti la sua espansione costituì una forma di concorrenza sleale nei confronti degli operatori già presenti sul mercato, per quanto inefficienti fossero.

Gli Uber files contengono inoltre varie conferme di come Uber abbia usato accorgimenti tecnologici per sfuggire ai controlli delle autorità.

Per esempio, l’azienda aveva fatto installare su tutti i suoi sistemi informatici un “kill switch”, un “interruttore d’emergenza”, cioè un sistema che rendeva immediatamente non accessibili tutti i computer di una determinata sede, nel caso in cui fosse in corso un controllo delle autorità negli uffici. Successe per esempio nel 2015, quando Kalanick scrisse un’email in cui si legge: «Per favore azionate l’interruttore di emergenza il prima possibile… L’accesso deve essere bloccato ad AMS [gli uffici di Amsterdam]».

Un veicolo di Uber dato alle fiamme a Parigi nel 2015 (EPA/IAN LANGSDON)

Nei files ci sono anche testimonianze dell’atteggiamento sprezzante di Kalanick nella gestione dell’azienda: per esempio, nel 2015-2016 le proteste dei tassisti francesi contro Uber erano diventate estremamente violente, tanto che alcuni autisti di Uber temettero per la propria incolumità. Nonostante questo, Kalanick decise che le migliaia di autisti parigini di Uber avrebbero dovuto organizzare una contro-protesta contro i tassisti. Quando alcuni suoi collaboratori gli fecero notare che c’era il rischio di violenze, Kalanick rispose: «La violenza è garanzia di successo».

In vari comunicati inviati ai giornali, Kalanick ha smentito la gran parte delle accuse. Uber ha riconosciuto che sotto la guida di Kalanick sono stati commessi errori, ma ha negato che qualcuno abbia mai cercato di mettere in pericolo gli autisti. Ha inoltre ricordato che dal 2017 molte cose sono cambiate, e le metodologie e gli atteggiamenti usati da Kalanick sono stati abbandonati.