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  • Giovedì 15 ottobre 2020

A Bangkok c’è lo “stato di emergenza”

È stato imposto per bloccare le proteste contro il governo e il re della Thailandia, e per colpire oppositori e attivisti

(AP Photo/Rapeephat Sitichailapa)
(AP Photo/Rapeephat Sitichailapa)

Il primo ministro della Thailandia, Prayuth Chan-ocha, ha imposto un duro “stato di emergenza” a Bangkok, la capitale del paese e il centro delle grandi proteste in corso contro il governo e la monarchia thailandesi. Lo “stato di emergenza”, adottato per frenare le manifestazioni, è già entrato in vigore e giovedì è stato sfruttato dalla polizia per arrestare più di 20 persone, tra cui importanti leader delle proteste. Tra le altre cose, prevede il divieto di riunione per più di quattro persone e di pubblicazione di news che «potrebbero creare paura» o «influenzare la sicurezza nazionale». Le limitazioni introdotte si aggiungono a quelle previste da un altro “stato di emergenza”, già in vigore in tutto il paese per contenere gli effetti della pandemia da coronavirus.

Poliziotti in tenuta antisommossa a Bangkok, il 15 ottobre (Lauren DeCicca/Getty Images)

Le proteste erano iniziate lo scorso gennaio, quando un tribunale thailandese aveva deciso di mettere fuorilegge il Partito del Futuro Nuovo (Phak Anakhot Mai), movimento di opposizione molto popolare fra i giovani. L’epidemia da coronavirus aveva interrotto le manifestazioni, che poi però erano tornate a crescere.

A giugno le proteste erano ricominciate dopo la scomparsa in Cambogia di un attivista thailandese in esilio, Wanchalearm Satsaksit. Da allora si erano allargate: oggi i manifestanti chiedono, in breve, che venga sciolto il governo guidato dal generale Prayuth Chan-o-cha, al potere dal colpo di stato del 2014, che cessino le violenze nei confronti degli attivisti e che venga riscritta la Costituzione, emanata dal governo militare.

– Leggi anche: I diritti delle donne nelle proteste della Thailandia

Tra le persone arrestate giovedì mattina, ci sono Anon Nampa, avvocato che si occupa di difesa dei diritti umani e prima persona a parlare pubblicamente della necessità di riformare la monarchia; Parit Chiwarak, studente e attivista, molto noto in Thailandia con il soprannome “pinguino”; e Panusaya Sithijirawattanakul, leader conosciuta soprattutto per avere presentato un manifesto in dieci punti per chiedere, come Anon, una riforma dell’istituto monarchico.

Manifestazione antigovernativa a Bangkok il 14 ottobre (Lauren DeCicca/Getty Images)

Le proteste a favore della democrazia in corso in Thailandia sono guidate per lo più da studenti, anche se tra i manifestanti ci sono parecchi ex seguaci di Thaksin Shinawatra, primo ministro deposto con un colpo di stato nel 2006. Gli studenti contestano tra le altre cose le irregolarità compiute nel controverso voto dello scorso anno che portò all’elezione di Prayuth a primo ministro.

A partire da agosto, anche su impulso di Anon e Panusaya, i manifestanti hanno iniziato a chiedere una riforma della monarchia: una cosa piuttosto inusuale per un paese in cui il re è considerato una specie di divinità e dove per chi lo critica è previsto anche il carcere in base a una legge, fra le più severe al mondo, che punisce il reato di lesa maestà con pene fino a 15 anni.