«Eitan deve tornare in Italia», la sentenza del Tribunale israeliano. Il nonno: «Faremo ricorso»

La giudice ha deciso in base alla Convenzione dell'Aia

«Eitan deve tornare in Italia», la sentenza del Tribunale israeliano. Il nonno: «Faremo ricorso»
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Lunedì 25 Ottobre 2021, 14:22 - Ultimo aggiornamento: 19:24

Il piccolo Eitan deve tornare in Italia. Eitan Biran, il bambino unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, deve tornare in Italia dove c'è la sua residenza abituale. Lo ha stabilito la giudice del Tribunale della famiglia di Tel Aviv. «Sono felice per la decisione dei giudici di Tel Aviv», ha commentato Aya Biran, la zia paterna di Eitan.

Per i prossimi sette giorni da oggi, tuttavia, tempo necessario per l'eventuale ricorso da parte del nonno materno Shmuel Peleg alla Corte Distrettuale di Tel Aviv, il piccolo Eitan non potrà lasciare Israele. Lo si apprende da fonti legali. Trascorso questo tempo, ma solo in mancanza di eventuali provvedimenti contrari, il bambino potrà far rientro in Italia in base alla sentenza di oggi della giudice del Tribunale della Famiglia di Tel Aviv.

Il nonno: «Faremo ricorso»

La famiglia Peleg farà ricorso contro la sentenza del tribunale della famiglia di Tel Aviv. Lo ha dichiarato ad Adnkronos Gadi Solomon, il portavoce di Shmuel Peleg, il nonno di Eitan che lo ha portato in Israele sottraendolo alla custodia della zia paterna Aya, suo tutore legale.

La nonna: «Disastro nazionale»

«È un giorno disastroso. È avvenuto un secondo disastro dopo quello di cinque mesi fa. Si tratta di un disastro nazionale». Lo ha detto Esther Peleg Cohen nonna materna di Eitan in tv aggiungendo che si tratta «di un giorno di lutto nazionale». «Non riesco a capacitarmi del fatto che Israele - ha aggiunto - mi carpisce l'ultimo nipote, il residuo di quello che resta di mia figlia». La decisione del Tribunale - ha insistito - «è stata influenzata da considerazioni politiche sui rapporti con l'Italia».

Esther Peleg Cohen ha poi rivolto un appello «al popolo» di Israele «affinchè comprenda che si parla di un bambino israeliano e che non c'è motivo di sradicarlo».

Secondo la donna, l'iter giudiziario compiuto in Italia per l'affidamento di Eitan alla zia Aya Biran «è avvenuto con un sotterfugio». E, riferendosi alla recente udienza di Milano nella causa intentata sull'affidamento del bambino, ha detto che «è emerso un documento importante che indica che Aya ha pilotato quell'iter per prendere Eitan come sua proprietà privata». «Contrariamente a quello che si pensa - ha proseguito - Eitan non ha ricevuto le cure mediche di cui aveva bisogno». Infine - rispondendo ad una domanda dell'intervistatrice tv - ha spiegato di «non essere stata coinvolta nella decisione» del suo ex marito Shmuel Peleg di portare il bambino in Israele. «Aya o non Aja - ha concluso - lotterò fino all'ultima goccia di sangue per custodire Eitan e farlo crescere in Israele con entrambe le famiglie».

I legali della zia Aya: «Né vincitori né vinti, cè solo Eitan»

«Pur accogliendo con soddisfazione la sentenza della giudice Ilutovich crediamo che in questo caso non ci siano né vincitori né vinti. C'è solo Eitan e tutto quello che chiediamo è che torni presto a casa sua, ai suoi amici a scuola, alla sua famiglia, in particolare per la terapia e gli schemi educativi di cui ha bisogno». Questo il commento dei legali della famiglia di Aya Biran - gli avvocati Shmuel Moran e Avi Himi - subito dopo la sentenza della giudice che ha deciso in base alla Convenzione dell'Aia di far tornare il bambino in Italia.

La giudice israeliana: il nonno paghi le spese del processo

La giudice del caso di Eitan Iris Ilutovich Segal ha imposto che il nonno materno del bambino, Shmuel Peleg, paghi le spese processuali pari a 70 mila shekel (oltre 18mila euro). Nella sentenza inoltre si spiega che «non è stato accolta la tesi del nonno secondo cui la zia non aveva il diritto di tutela». « Con l'arrivo in Israele il nonno - ha proseguito la giudice - ha allontanato il minore dal luogo normale di vita. Un allontanamento contrario al significato della Convenzione e che, così facendo, ha infranto i diritti di custodia della zia sul minore stesso».

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La disputa in tribunale

Da una parte la zia paterna che si è affidata ai giudizi dei tribunali italiani, dall'altra il nonno materno che di quei provvedimenti se n'è infischiato rapendo a Pavia e portando in Israele  il nipote Eitan di 6 anni, violando così parecchie leggi italiane e anche la Convenzione dell'Aja. Ora però, dopo la "sottrazione di minore" orchestrata con un piano degno di un raid di spionaggio internazionale, gli stessi rapitori si appellano non solo ai tribunali israeliani ma anche a quelli italiani per vedere riconosciute le loro pretese.  

Intanto è iniziata ed è stata subito rinviata al prossimo primo dicembre l'udienza davanti al Tribunale per i minorenni di Milano la discussione sul caso dell'unico sopravvissuto alla tragedia della funivia del Mottarone del 23 maggio. In queste settimane le parti potranno, a quanto si è saputo, depositare documenti. I giudici hanno invitato le parti al silenzio stampa. 

Un'udienza di un paio di ore nella quale, da un lato, i legali dei nonni materni hanno messo sul piatto presunte irregolarità nel procedimento di nomina della zia paterna come tutrice legale e criticato duramente la sua 'gestione' del minore mentre, dall'altro lato, gli avvocati di quest'ultima hanno chiesto la conferma del provvedimento del giudice di Pavia dello scorso agosto.

 

Il bimbo rapito a Pavia e portato in Israele

A rapirlo l'11 settembre e a portarlo in Israele, stando all'accusa formulata dalla Procura di Pavia, fu il nonno materno Shmuel Peleg, lo stesso che, attraverso un pool di legali italiani, tra cui Sara Carsaniga e Paolo Sevesi, che rappresentano pure la nonna Esther, ritiene illegittima la procedura con cui il Tribunale di Torino ha nominato Aya tutrice.

Dopo un primo ricorso respinto il 9 agosto dal Tribunale di Pavia, a cui erano stati tramessi gli atti per competenza, ha quindi proposto reclamo ai giudici minorili di Milano. Fonti legali hanno adombrato la possibilità che il Tribunale israeliano, prima di esprimersi col verdetto (che potrà essere oggetto di appello), stesse attendendo di capire quale sarebbe stata la decisione dei giudici milanesi sull'impugnazione della famiglia Peleg.

Il dato di fatto è che il collegio del Tribunale per i minorenni (giudici Maria Stella Cogliandolo e Paola Ortolan e due esperti) ha disposto un rinvio abbastanza lungo, con la prossima udienza fissata per il primo dicembre. Nel frattempo, le due parti potranno depositare documenti e memorie e, dopo l'ultimo faccia a faccia in aula, arriverà il provvedimento.

«Siamo qui per evidenziare la verità in questo procedimento, solleveremo una serie di questioni e problematiche», ha spiegato l'avvocato Carsaniga entrando in Tribunale, prima che i giudici all'inizio dell'udienza a porte chiuse invitassero tutte le parti, tra cui anche i legali della zia (uno degli avvocati è Cristina Pagni), a mantenere il silenzio stampa a tutela del minore fino alla fine del procedimento. I nonni chiedono l'annullamento della nomina di Aya e i loro legali nell'impugnazione mettono in luce una serie di irregolarità, dai tempi alle modalità, che hanno portato il giudice di Torino a indicare in 20 minuti, così sostengono, la zia come tutrice, senza nemmeno la presenza di un interprete. E puntano il dito pure sulla 'gestione di fatto' che la zia ha avuto del piccolo (ha perso padre, madre, fratello e bisnonni). Ritengono che in quanto tutrice, e non affidataria, non poteva portarlo a casa a vivere con lei, lo zio e le cugine. Da questa 'pioggia' di contestazioni è scaturita, tra l'altro, un'altra udienza a Pavia, fissata per il 9 novembre. E una terza, ancora a Pavia, il 16 novembre e relativa a dei decreti che avrebbero tolto ai Peleg la possibilità di ricevere la notifica di atti.

Per i nonni, poi, dovrebbe essere una persona 'terza' a gestire il patrimonio del piccolo. Netta e opposta la posizione degli avvocati di Aya per i quali ciò che fu deciso tra Torino e Pavia non può che essere confermato.

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