I dipendenti pubblici cessati dal servizio che da anni aspettano i soldi della liquidazione continueranno ad attendere. Stop agli anticipi del Tfs/Tfr a tasso agevolato (l'un per cento) dell'Inps. L'istituto di previdenza, che a febbraio del 2023 aveva iniziato ad anticipare le somme agli statali iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, ha appena fatto sapere di aver chiuso il rubinetto dei prestiti per esaurimento fondi.
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Le istanze
A inizio anno, su oltre 17 mila istanze per l'anticipo del Tfs pervenute all'Inps, quasi diecimila risultavano lavorate o in lavorazione.
A questo punto, uno statale in attesa del Tfs che non è disposto ad aspettare fino a cinque anni prima di ricevere il denaro che gli spetta, dovrà per forza rivolgersi a quelle banche che, in convenzione con lo Stato, anticipano il trattamento. Sono poche e il servizio è a caro prezzo. In banca, infatti, detta legge il rendistato, l'indice sulla base del quale gli istituti di credito calcolano gli interessi da applicare sugli anticipi. Il tasso finale è il risultato della somma del rendistato e dello spread, che è sempre pari allo 0,5%. Oggi il rendistato viaggia abbondantemente sopra la soglia del 3%. Tradotto: per 45 mila euro di anticipo – i prestiti delle banche non superano questo tetto – la spesa per gli interessi raggiunge (e a volte supera) i duemila euro. Una “tassa” sulla liquidazione dei dipendenti pubblici che a molti proprio non va giù. Anni fa, quando sono partiti i primi prestiti delle banche agli statali, era prima della pandemia, il rendistato rasentava invece lo 0%, e quindi l'operazione risultava decisamente più conveniente. Ma sui prestiti a tasso agevolato dell'Inps il sipario è calato per sempre? L’Inps per adesso ha solo fatto sapere che, considerato «l’importante valore sociale» della prestazione di credito, «sta valutando un’evoluzione della misura».
I precedenti
Una sentenza della Consulta di giugno scorso ha definito il pagamento differito e rateizzato del Tfs/Tfr agli statali, introdotto ai tempi del governo Monti per tenere in equilibrio i conti pubblici, incompatibile con i principi della Carta. La Consulta ha anche chiesto al Parlamento di intervenire per evitare il protrarsi di disparità con il privato, dove i soldi della liquidazione arrivano sul conto degli interessati nel giro di poche settimane.