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Rabbia e proteste in Libia: assalto al parlamento

Manifestazioni in tutte le principali città del Paese nordafricano. A Tobruck alcuni cittadini hanno appiccato le fiamme alla sede del parlamento

Rabbia e proteste in Libia: assalto al parlamento

Era stato pronosticato un “venerdì di rabbia” in Libia e così è stato. Questa volta il Paese nordafricano è apparso unito e senza divisioni, ma nella protesta. Non c'è stata infatti grande città o regione risparmiata da manifestazioni spesso sfociate anche in episodi di difficile gestione per chi controlla il territorio.

Da Tobruck a Tripoli, i libici invadono le piazze

L'episodio più significativo si è avuto forse a Tobruck, la città della Cirenaica dove ha sede il parlamento eletto nel 2014 ed ancora oggi principale organo legislativo della Libia. Si tratta infatti della Camera che ha dato il via libera, nello scorso mese di febbraio, al nuovo governo di Fathi Bashaga.

Un esecutivo però riconosciuto solo a Tobruck, visto che a Tripoli formalmente a governare è ancora Abdul Hamid Ddedeiba, il premier scelto nel marzo 2021 dal forum di dialogo sulla Libia. Ma a prescindere dagli ultimi atti approvati dalla Camera e dal governo a cui i deputati stanno dando appoggio, il quartier generale del parlamento di Tobruck è diventato un simbolo del frastagliato e inconsistente potere libico.

E così i cittadini scesi in piazza in questo venerdì lo hanno letteralmente preso d'assalto. Fonti locali e fonti citate da Al Arabiya hanno parlato di centinaia di manifestanti che sono riusciti a entrare all'interno della struttura e a dare fuoco ad alcuni documenti. La situazione si sarebbe fatta subito tesa anche perché, nella piazza antistante il parlamento di Tobruck, alcuni cittadini hanno creato un cordone di pneumatici in fiamme. Un contesto che assomiglia da vicino a una vera e propria rivolta.

Ma se nell'est sta prendendo piede la guerriglia urbana, nell'ovest la situazione non appare affatto migliore. Anche nella capitale Tripoli decine di manifestanti sono scesi in strada per protestare contro i due governi che si contendono il potere in Libia. L'elemento in comune tra est e ovest del Paese nordafricano è dato proprio dalla rabbia e dall'insofferenza contro l'intera classe politica libica. Non sembrano esserci in tal senso divisioni in fazioni o in gruppi: chi è sceso in piazza oggi ha chiesto l'azzeramento totale di ogni ente o istituzione presente in Libia.

A Tripoli i manifestanti hanno preso di mira anche il governatore della Banca Centrale, Siddiq Al Kabir, ritenuto tra i principali responsabili dello sfacelo economico e sociale del Paese. Epicentro delle proteste è stata Piazza dei Martiri, famosa come Piazza Verde ai tempi di Gheddafi, dove il rais ha tenuto alcuni dei più importanti comizi durante i suoi 42 anni di potere.

Manifestazioni e scontri anche a Bengasi, la città più grande dell'est della Libia e quartier generale dell'esercito del generale Khalifa Haftar, e a Misurata, città natale dei due premier che si contendono il governo, nonché sede delle milizie più importanti che controllano la Tripolitania.

Il perché delle proteste

Il venerdì di rabbia era nell'aria in tutta la Libia. Su AgenziaNova lo aveva anticipato Claudia Gazzini, analista senior dell'International Crisis Group (Icg) e profonda conoscitrice della realtà libica.

Nel paese manca di tutto. Non c'è elettricità per almeno 12 ore al giorno nelle grandi città, con situazioni ancora più critiche nelle regioni più remote. L'economia è ferma e i prezzi dei generi di prima necessità sono in aumento. Inizia a scarseggiare anche la farina dopo il blocco delle esportazioni del grano ucraino dovuto all'attuale guerra in corso.

Questa volta i libici hanno deciso di non essere molto pazienti come un tempo. Negli ultimi 11 anni, dopo la fine dell'era Gheddafi, il Paese è stato spesso attraversato da tensioni e faide interne. Ma l'economia ha tutto sommato retto. Adesso invece, con una situazione allo stremo, i libici pretendono la fine delle divisioni e l'innesto di un sistema capace di portare almeno alla stabilità.

A peggiorare il quadro è anche il blocco delle esportazioni di petrolio. Diversi stabilimenti da settimane sono chiusi. Un po' per altre manifestazioni, un po' anche per le sfide tra i vari gruppi che sostengono l'uno o l'altro governo in carica. Con una produzione giornaliera di greggio ridotta al minimo, la Libia rischia di avere meno introiti e quindi meno soldi con cui programmare anche l'ordinaria amministrazione.

Un Paese già nel caos quindi sta seriamente, sotto i nostri occhi, rischiando di implodere.

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