Napoli, De Laurentiis e il gioco dei “perché”

Leggi il commento al momento del club azzurro, dopo la brutta sconfitta di Torino
Antonio Giordano
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Oltre il buio c’è il precipizio e ci vuole un attimo per ruzzolare dentro una crisi senza ritorno. Forse il Napoli dovrebbe smetterla di scucchiaiare sulla glassa del 2023, è stato un gran bel tempo che gli è appartenuto, la fusione magica di un’Idea alta, la proiezione in una favola costruita nelle sue varie fi gure: ma quell’epoca è sfilata via e ora che Spalletti e Giuntoli appartengono esclusivamente alla memoria, coprotagonisti di un capolavoro (quasi) senza precedenti, Aurelio De Laurentiis - che per lo scudetto un ruolo prestigioso e riconosciuto l’ha avuto - sa che per evitare un catastrofi co declino deve semplicemente recuperare le stimmate del manager moderno, misteriosamente sparito nell’apoteosi. Il miracolo all’incontrario ha cause e però anche effetti, ma prima di gettare l’acqua con i bambini, può aiutare porsi domande banalissime, chiedersi come, quando e soprattutto perché in sei mesi la Grande Bellezza sia stata sfigurata con l’acido di un ambiente avvelenato. E almeno dinnanzi ad uno specchio, pur con le rughe di quest’inverno divenuto calcisticamente terrificante con il 3-0 di Torino, sarà vietato mentirsi. Le coincidenze sono le cicatrici del destino, direbbe Zafon, e in Spagna, nella sua settimana di terribile sofferenza, De Laurentiis può in onestà o in sincerità radiografare la metamorfosi del Napoli e definire i motivi di questo processo d’autodistruzione che rischia di non avere precedenti. Solo De Laurentiis sa cosa l’abbia spinto ad affidare quel Napoli mostruosamente sontuoso a Rudi Garcia, quali principi tecnico-tattici, quali percezioni e perché mai, intuito che sbagliare è umano e perseverare è diabolico, abbia poi voluto sfidarsi ancora e di nuovo, lanciandosi tra le suggestioni di Mazzarri, mai imparentato - neppure da lontano - con tridenti ed affinità del genere.

Napoli, le contraddizioni di De Laurentiis

De Laurentiis è uomo di spettacolo, non deve stupirsi con effetto speciale, sa essere pubblicamente protettivo con il proprio cerchio magico e privatamente severissimo e ricorderà che in estate, forse perché retaggio del passato, i “no” a Le Normand e Kilman furono secchi, ispirati da ragioni economiche, frantumate con l’acquisto di un altro centrale che, sommandolo a Natan, trascinerà ben al di là dei costi del francese o dell’inglese. Ci sono così tante contraddizioni che bisognerà essere trasparenti per spiegarsi perché sia stato ceduto Elmas prima che arrivasse un mediano; perché ogni rinnovo contrattuale dev’essere trasformato in estenuante corpo a corpo che sparge tensioni; perché nelle proprie visioni un capo dell’area scouting, Micheli, sia stato travestito da diesse o comunque da regista delle operazioni; e perché per arrivare a Meluso, il direttore sportivo di ruolo, sia stato necessario aspettare il 15 luglio. Ce n’è di tempo, forse poco, ma è sufficiente per confessarsi in silenzio e con sé, per pentirsi d’aver anche provocatoriamente urlato al vento che quel «Napoli lo avrebbe potuto allenare chiunque» o che Giuntoli, un direttore sportivo, non è poi centrale. Il De Laurentiis più ricorrente del suo ventennio, presentando gli allenatori, si è ciclicamente rifugiato dialetticamente in immagini iconiche - «vorrei che fosse il nostro Alex Ferguson» - frantumatesi ben prima che i cicli iniziassero. E per evitare che in questo 2024 il modello di riferimento diventi Penelope, il Napoli - cioè Adl - prenda una tela e ricostruisca.


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