19 ottobre 2019 - 12:44

Mondiali di rugby: Inghilterra-Nuova Zelanda è la prima semifinale

La formazione di Jones supera l’Australia per 40-16 con una prova superba che non lascia scampo agli avversari. Gli All Blacks stendono l’Irlanda 46-14

di Valerio Vecchiarelli

Mondiali di rugby: Inghilterra-Nuova Zelanda è la prima semifinale
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Iniziano i lavori del G8 del rugby a convegno in Giappone e i depositari del verbo ovale mettono subito le cose in chiaro. Primo quarto di finale del Mondiale con la magnifica Inghilterra che soffoca ogni prospettiva di qualificazione dell’Australia (40-16), poi a seguire tocca a un’impotente Irlanda certificare la manifesta superiorità degli All Blacks (46-14) in una partita a senso unico che disegna la semifinale (sabato 26 a Yokohama) più attesa, un crudele scontro tra emisferi che escluderà dalla corsa al titolo una delle predestinate.

Inghilterra-Australia

L’Inghilterra è un meccanismo a orologeria, aspetta paziente la preda per azzannarla al primo errore, la vede dannarsi l’anima per guadagnare metri preziosi e se la toglie dalle spalle come fosse odiosa polvere finita sulla giacca indossata per una serata di gala. È una squadra sontuosa quella che mortifica ogni tentativo australiano di rimanere aggrappati alla partita, detta le regole del gioco e piazza le sue punture velenose appena si apre una crepa nella difesa fiaccata da mille scontri ad altissima velocità. L’Australia gioca con coraggio una fase dietro l’altra, fa prendere aria all’ovale, avanza a ondate e sembra poter mettere dei dubbi alla macchina perfetta. Di là della linea Maginot, però, non si preoccupano del possesso perduto, alzano una diga in difesa e attendono sulla riva del fiume di cavalcare la corrente favorevole. Tanta fatica porta in dote ai canguri un vantaggio effimero (3-0), Lealifano dà un senso alla sua favola di risorto dal buio, lui che tre anni fa era in un letto di ospedale a combattere contro la leucemia, e mette tra i pali la prima occasione di vantaggio. Ma il punteggio è un’illusione ottica apparsa sul maxischermo dell’Oita Stadium, perché la saggezza tattica della macchina da rugby messa su da Eddie Jones, l’australiano di mamma giapponese cui è affidato il sogno di riportare a casa la Coppa del Mondo, è sinonimo di perfezione. Esaurita la furia wallabie, al primo pallone disponibile arriva la punizione che piega le gambe e annebbia le idee. Nessuna concessione alla fantasia, solo tanta sostanza con il doppio playmaker inglese che apre varchi, fa viaggiare il pallone in attesa di mettere in moto le proprie frecce assassine. l’uno-due al volto che indirizza la partita ha la firma di Johnny May, il Forrest Gump in bianco, uno che corre a perdifiato in giro per il prato e sembra essere avulso da ciò che gli succede intorno, ma che alla fine si fa sempre trovare puntuale all’appuntamento con la gloria. Due mete personali in un amen (14-3) e l’Inghilterra può guardare gli avversari dannarsi la vita senza fare una piega. I calci di Lealifano e Farrell tengono viva la suspense, al riposo (17-9) c’è ancora speranza per l’Australia, speranza che diventa concreta in avvio di ripresa, quando l’austrofigiano Koroibete dà sfogo alla fantasia rugbistica tipica della sua gente e vola in meta. L’Inghilterra è lì a un passo (17-16) lungo come l’infinito. Non c’è più storia, la macchina offesa si ritrova intorno ai fondamenti del rugby, mischia, possesso, difesa a oltranza e muscoli prestati con saggezza alla causa. Un attimo e in meta rotola il pilone Sinckler, poi non c’è più storia, la Regina del gioco guarda compiaciuti gli ex sudditi dell’Impero sfilacciarsi nella rincorsa all’impossibile. Chiude Watson con una volata elegante e mortifera e prenota la semifinale.

Nuova Zelanda-Irlanda

La Regina è viva, Dio salvi gli All Blacks. A Tokyo l’Irlanda sa di avere di fronte una missione impossibile, affronta Kate o Pango, l’haka più violenta che gli All Blacks inscenano solo nelle grandi occasioni, con la faccia di chi non vuole piegarsi di fronte al fascino di chi in Coppa del Mondo non perde un incontro dal 2007, guarda dritto negli occhi l’avversario per provare a esorcizzare la storia. Ma sono schermaglie dettate dall’orgoglio, perché il campo è spietato e racconta di uno strapotere in nero che sa di sopraffazione. Gli All Blacks sono spietati, occupano il campo e sembrano moltiplicarsi a ogni azione, non lasciano spazi alle iniziative color verde speranza e dopo mezzora di rugby unidirezionale hanno già chiuso la pratica con la doppietta di Aaron Smith e la meta tutta classe e fantasia di Beauden Barrett, il capobranco della dinastia che strada facendo vedrà in campo anche Scott e Jordi, per quella che diventa una questione di famiglia. Alla fine saranno 7 le mete della Nuova Zelanda, contro le 2 (Heinshaw e meta tecnica) figlie esclusivamente dell’orgoglio di chi non vuole abbandonare il Giappone con la coda tra le gambe. Le gerarchie tanto solide nel pianeta ovale sono rispettate. Sarà una settimana di pensieri e parole a disposizione di Eddie Jones, il Mourinho del rugby, per mettere dubbi alle granitiche certezze dei neozelandesi. La semifinale più spietata e attesa è appena iniziata.

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