10 agosto 2019 - 20:27

Chi è Joao Felix, il giovane fuoriclasse dell’Atletico che ha segnato 2 gol alla Juve

Diciannove anni, un talento formidabile e multiforme, il giovane portoghese ha strabiliato il mondo, ancora una volta, nell’amichevole contro il suo «maestro», Cristiano Ronaldo. Ecco perché potrebbe continuare a farlo ancora molto, molto a lungo

di Sandro Modeo

Chi è Joao Felix, il giovane fuoriclasse dell'Atletico che ha segnato 2 gol alla Juve
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Tra i tanti under 20 già affermati, João Félix Sequeira — riprendendo l’espressione usata per Laudrup da Artur Jorge, grande tecnico lusitano — è «il fiore più delicato». Anche troppo delicato, almeno in principio: il Porto, nelle cui giovanili il ragazzo trascorre l’adolescenza, a un certo punto lo scarta (lo scarica) perché «troppo basso e troppo magro»; sarà la Seixal Academy del Benfica, prendendolo in consegna, a plasmarlo e irrobustirlo fino alla complessione attuale (181 cm. per 64 kg.). Del resto, è proprio quella delicatezza morfologica (e biomeccanica) la chiave di una corsa fluida e inafferrabile, da qualcuno paragonata a quella di Rui Costa o addirittura di Kakà (o di Cruijff, vedi António Simões, leggendaria ala del Benfica, oggi 75enne). In realtà il brasiliano (di complessione più sostenuta, 186 cm. per 83 kg.) possedeva una «grazia» forse inimitabile; però è vero che JF — che sabato ha segnato una grande doppietta contro la Juventus — sembra condividerne la capacità di integrare proprio sulla corsa (di eseguire in movimento e/o velocità) quei differenziali tecnici che «mutano il paesaggio» per sé e per la squadra: dribbling, tunnel, filtranti, cambi direzionali, alternanza tra arresti e accelerazioni.

La sua città di nascita, Viseu, Beira Alta, sembra quasi fare pendant coi suoi tratti: paragonabile a certe città dell’Italia centrale, si snoda su dolci colline tra il fiume, i boschi e la catena della Serra: tra i nativi celebri, vanta i due artisti della locale scuola di pittura rinascimentale, influenzata dai fiamminghi (Grão Vasco — Vasco il Grande — e Gaspar Vaz), e — più prosaicamente — un altro giocatore di vertice portoghese, Paulo Sousa. Vale a dire, la cornice ideale per un giocatore-artista come JF.

Infatti, l’innesco della sua parabola ha accenti quasi mozartiani, se il padre Carlos — giocatore dilettante che ne intravede il talento quando il bambino ha appena 4 anni — lo «esibisce» poco dopo negli intervalli tra primo e secondo tempo nelle partite del campionato locale, il pubblico meravigliato dalla sua impressionante «empatia» con la palla.

La sua ascesa degli ultimi tre anni segue una progressione inesorabile. Nelle stagioni al Benfica B (2016-18), le sequenze-break sono, tra le tante, soprattutto due: la tripletta nel 5-0 al Famalicão e la doppietta nella semifinale di Uefa Youth League a Madrid contro il Real (2-4 per le Aquile), il primo gol di tacco, in un torneo poi perso in finale col Salisburgo ma in cui JF segna 6 gol. Mentre l’anno al Benfica prima squadra, il 2018-19, diventa un crescendo con l’arrivo come coach (3 gennaio ’19, al posto di Rui Vitória) di Bruno Lage, altro «uomo di Setubal» (come Mourinho) che corona una militanza al Benfica cominciata dalle giovanili (2004-2012, esperienza che ne fa lo scouter di decine di talenti tra cui Cancelo e Bernardo Silva) e interrotta solo dai passaggi negli Emirati arabi e nella Championship (la serie B) inglese. Tecnico sopraffino, attento «ai principi più importanti per le differenti fasi di gioco», Lage è l’artefice della maturazione di JF, trasformato in un polivalente offensivo che sintetizza la sua gamma di variabili posizionali (dopo l’impiego in anni lontani come playmaker, ala destra o sinistra, trequartista, seconda punta).

È un crescendo impressionante nei dati e per altre sequenze-break. I dati: nella Liga portoghese (vinta dalle Aquile sul Porto) JF totalizza 15 gol in 26 partite (uno ogni 153 minuti) e 9 assist, media smile a quelle già ottenute col Benfica juniores, cui vanno aggiunti i 5 gol in Europa League. Ed è proprio in Europa League la sequenza-break principale: la tripletta nell’andata dei quarti al da Luz, contro l’Eintracht Francoforte (finale 4-2 per le Aquile), col coach dei tedeschi Adolf Hütter estasiato.

Il resto è cronaca recente, con qualche tratto precoce di possibile Storia: la prova-monstre nel terrificante 3-7 rifilato al Real nel derby madrileno del New Jersey, lo scorso 27 luglio. D’accordo, è calcio d’agosto (tanto che il Cholo Simeone ha visto soprattutto gli errori dei suoi), ma la prova di Félix è la sintesi del suo eclettismo, incoronata da un gol (il terzo dei colchoneros) e due assist (uno di esterno ad «aprire» lo spazio, un altro a tagliare tre difensori blancos) per il primo e il quarto gol della quaterna di Diego Costa. Bonus track, l’«apparizione» nel match successivo (Orlando, 1° agosto) contro l’MLS All Stars: JF entra sull’1-0 per i suoi (vicini a subire il pari) e fa in tempo a segnare di nuovo (arresto e tiro da fuori effettato, anche se portiere non impeccabile) e a tracciare un altro assist (lancio) per Diego Costa per il definitivo 3-.0.

È il match in cui le sue «skills» (abilità, numeri tecnici) abbagliano Wayne Rooney (che le definisce «astonishing», stupefacenti) molto più della tempesta di fulmini che fa ritardare il via del match per mezz’ora. E in effetti, basta andarsele a vedere, quelle «skills» (ce n’è una selezione esemplare di 10 minuti su YouTube) per toccare con mano l’efficacia «a più dimensioni» del talento di JF, dalla visione grandangolare (giocare prevedendo e condizionando lo sviluppo di un’azione) al dettaglio molecolare (l’impiego dell’«abilità» volta a volta più adatta).

In generale, colpisce — come in tutti i fuoriclasse offensivi simili — la forza creativa (il pensare un azzardo, importante quanto la tecnica per realizzarlo) e il senso di necessità, che si riassume nel rapporto tra la tecnica, lo spazio e il timing: quando dare la palla di prima e quando tenerla, quando accelerare e quando rallentare per lasciar aprire situazioni chiuse, e così via.

Nel dettaglio, colpiscono le qualità del giocatore sia con la palla (serpentine sinuose, colpi di tacco mai esornativi, stop e tocchi a seguire vellutati, assist a tagliare la difesa avversaria con filtranti verticali o ad «aggirarla» con lunghi passaggi ellittici) che senza (smarcamenti di grande tempismo e «inserimenti-fantasma» alla CR7, che si concludono spesso con gol di testa, vero valore aggiunto di JF).

È un ventaglio già sufficiente a connotare João Félix come un unicum. Certo, come sempre davanti alla fase aurorale di un fuoriclasse, i paragoni sono inevitabili. Abbiamo già visto quelli sulla morfologia e sulla corsa: altri se ne potrebbero fare sulla somatica del viso (una remota somiglianza col primo Albertini), sui tic imitativi (l’esultanza a braccia incrociate alla Mbappè, uno dei suoi modelli) e persino sul mix precocità-classe-lievità alla Rivera (Brera vedrebbe forse in JF un nuovo, aggiornato «abatino»).

Ma il ragazzo ha già un brand tecnico-estetico tutto suo. Semmai, sarà interessante vederne l’evoluzione sotto il Cholo Simeone. In teoria, infatti, come lui stesso ha riassunto («mi piace avere la palla e giocare un calcio bello e felice», con quasi-allusione al suo cognome — «felix» sta per «felice» in latino) sembrerebbe più adatto a un calcio di possesso-fraseggio, tra Barça e City: in fondo, anche il Benfica di Lage è più vicino a quella concezione. Eppure, grazie alla varietà di quel ventaglio, il passaggio coi colchoneros (con un «calcio totale difensivo» basato sul mantra choliano «intensità-velocità-contatto») potrebbe da un lato aprirgli più spazi da ripartenza, dall’altro completare il rafforzamento — atletico e agonistico — portato avanti nel Benfica. Un’iniezione di prosa al servizio della poesia: uno stelo più robusto e duttile per rendere il fiore più tenace; e un incremento della sua forza adattativa, per permettergli di attecchire anche tra le rocce.

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