Gianluca Grignani a Sanremo 2023 con Quando ti manca il fiato: «Una canzone per mio papà: ha sbagliato ma oggi mi manca»

di Andrea Laffranchidi Andrea Laffranchi

Gianluca Grignani in gara a Sanremo con la canzone Quando ti manca il fiato: «È un brano che mi tocca come figlio»

Gianluca Grignani a Sanremo 2023 con Quando ti manca il fiato: «Una canzone per mio papà: ha sbagliato ma oggi mi manca»

Gianluca Grignani se ne va dalla stanza. Il suo staff ha appena fatto partire «Quando ti manca il fiato», la canzone che presenterà in gara a Sanremo e lui non vuole ascoltarla. Si tratta di una ballad rock con lo stile del Grignani classico e un testo che è un pugno allo stomaco. Racconta di una telefonata di suo padre in cui la domanda «tu verrai o no al mio funerale?» squarcia un silenzio durato anni e apre un flusso di coscienza fra lacrime e accuse, rispetto e perdono. «Ogni volta che la sento mi toglie un dubbio e me ne mette un altro, un brano che mi tocca sia come figlio che come padre».

Papà stava male quando chiamò? C’è ancora?
«Stava bene ed è ancora in vita anche se non ci vediamo da almeno 15 anni. Vive in Ungheria. Non ha ancora sentito la canzone e non vorrei che gli scoppiasse il cuore...».

Che effetto le fece quella chiamata?
«Sarà stato una decina di anni fa, era un periodo in cui mi si era rimarginata la ferita provocata della separazione dei miei che era avvenuta quando avevo 18 anni. Era stata una separazione non gestita, ma non fra padre e madre quanto fra padre e figlio. Lui se ne è andato in maniera poco consona: ha messo in mezzo me. Mi sono sentito solo. Non aveva fatto le scelte che sto facendo io ad esempio».

Si sente simile o diverso?
«Ho paura di essere simile a una persona che ha fatto errori e che non so se dovrei accusare o scusare. Allo stesso tempo mi manca la sua immagine. Quando mi incontro con l’altro suo figlio sento di avere delle radici . La differenza è che io so dire ti voglio bene e so abbracciare, i miei genitori non lo facevano».

Anche lei è un padre, di quattro figli, separato... Ha rivissuto qualcosa della sua infanzia attraverso la loro?
«Non direi... Non vedo i miei figli (frequenta solo la maggiore, ndr) non perché non lo voglia ma perché la mia responsabilità ha fatto sì che io decidessi che questa è la cosa giusta da fare. E questo fa male. Davanti ai figli avrei dovuto gridare e invece sono stato zitto».

1995, il primo Sanremo fra le Nuove proposte con «Destinazione paradiso». Ricordi?
«Prima di iniziare questa carriera ero convinto che se il pubblico non mi avesse capito avrei mollato. Arrivai al Festival dopo la pubblicazione di “La mia storia fra le dita” che era stata capita ma non come volevo io: ebbe inizio quell’odissea che tutti dobbiamo attraversare per essere l’Ulisse della nostra stessa vita».

«Destinazione paradiso» però fu un successo da due milioni copie nel mondo...
«Appena sceso dal palco mi accorsi che tutto era una stronzata, che il rock non esisteva come lo vedevo io che avevo gli occhi puri pieni del messaggio del grunge e di Cobain. Tutto era falso negli anni 90, mi sentivo diverso e soffrivo: “La fabbrica di plastica” fu il mio grido di vendetta».

Le pesava essere un sex symbol?
«Ma che ci posso fare se sono bello? (ride) Beatles e Stones non erano stati massacrati per il loro aspetto, la mia musica invece è stata presa e considerata stupida».

Ha compiuto da poco 50 anni: come ha vissuto il traguardo?
«Devastante. Non mi sento un cinquantenne ma ne ho tutte le paranoie. Non sono più un ragazzino, arriva la maturità del padre ma è una biga che non so ancora guidare».

C’è stato un momento autodistruttivo nella sua carriera. L’abbiamo vista accasciarsi sul palco nel 2009 a Viggianello (Potenza)... Ha mai avuto paura di perdersi?
«Ho più paura adesso. Allora vincevo, rimanevo sempre a galla. Ma quella volta merita di essere raccontata: il giorno prima eravamo a Reggio Calabria in un hotel dove c’era una festa privata. Ci scambiarono per altri e finì male, ci arrivò un tavolo in testa. Il giorno dopo l’agenzia che mi seguiva allora mi fece salire sul palco lo stesso. Mi accasciai apposta, non potevo accettare un trattamento del genere. Poi aggiungo che non sono mai stato un santo e non lo sarò mai».

«A volte esagero» è il titolo di un suo disco. E lei esagera?
«In base ai miei 50 anni. Sono nato con un certo bisogno di vivere e voglio abbracciare la vita».

Non fa scongiuri o gesti scaramantici. Soltanto gli occhi un po’ sgranati.

Allora Marco Mengoni, lei con «Due vite» è dato come favorito di questo Festival di Sanremo...
«Un po’ mette pressione... Nonostante questo vorrei divertirmi e non pensare al sabato. Fortunatamente nella mia carriera ho già una statuetta con il leone, l’unico premio che tengo in studio... Se si vince bene, sennò, come diceva qualcuno, l’importante è partecipare».

È la terza volta che si presenta in gara. La prima nel 2010, due mesi dopo la vittoria «X Factor».
«Venni catapultato al Festival, fu un buttarsi e “vediamo che succede”. Ho pochi ricordi e confusi. Arrivammo con una 500 carica di sogni e vestiti... Allora non avevo stylist, truccatori e parrucchieri al seguito.... e guardando foto e video si capisce. Ero immaturo e inconsapevole, caratteristiche che a volte giocano a favore».

Nel 2013 vinse con «L’essenziale», pezzo che le ha svoltato la carriera.
«Il 2012 era stato un anno pieno di cambiamenti. Avevo cambiato manager. Io e Marta (Donà, ancora con lui oggi ndr) eravamo giovani e nessuno credeva in noi. Mi davano per spacciato e finito. È stato strano a Sanremo, mi sembrava di combattere contro tutto. Poi piano piano, sera dopo sera, ho visto che qualcuno mi tornava vicino. Io stesso però mi tiravo schiaffi perché non credevo di poter reggere una carriera. Avevo dubbi, stavo per iscrivermi di nuovo all’università sapendo che la musica sarebbe rimasta nella mia vita ma in altro modo. La vittoria mi ha svegliato dai miei stessi dubbi».

Il suo quartier generale sarà uno stabilimento balneare, ribattezzato Lido Mengoni. Che succede?
«Un punto di ritrovo per scambiare idee, fare attività, giocare a burraco e calcetto. Tutte le mattine ci sarà con me Fabio De Luigi e le nostre chiacchiere in libertà diventeranno un podcast, titolo “Caffé col limone”».

Rimedio per hangover...
«Sono alla ricerca di equilibrio... E la sera prima non devo esagerare con i cocktail...».

Sempre alla ricerca del suo equilibrio personale?
«Da 7 anni dedico un’ora o due alla settimana ai miei pensieri assieme a una terapista. E chiamo questo lavoro su me stesso la mia storia infinita. Non ci si scopre mai... La canzone di Sanremo nasce da un flusso di coscienza fra me e Davide Simonetta (co-autore della musica ndr) durante le session del terzo capitolo di “Materia” che uscirà prima del tour negli stadi».

Di cosa parla?
«È un parallelismo fra la ratio e inconscio, l’alternarsi di queste vite parallele, entrata e uscita dall’onirico al reale. L’inconscio, il mondo di Morfeo, mi dà risposte, a volte pungenti, che l’analisi della vita quotidiana, quindi la ratio, non riesce, o non vuole darmi. “Due vite” però è un brano positivo. Nel testo c’è un’apocalisse ma è lunare, lontana, notturna... A un certo punto parlo di notti buttate via fuori da un locale... Non sono buttati via quei momenti di noia, sono importanti, a me fanno uscire la parte creativa. Mi auguro, quindi, di sbagliare ancora nella vita, di prendere altri schiaffi».

Il video messaggio del presidente ucraino Zelensky previsto per la finale ha diviso la politica. Che ne pensa?
«Condividere la serata con un messaggio di pace è in linea con il mio animo. Non ci vedo proprio nulla di oscuro o negativo».

Lei con «Let It Be» dei Beatles ed Elodie siete gli unici ad aver scelto brani in inglese per la serata delle cover. Come mai?
«Mi sono misurato spesso col cantautorato italiano. Anche a Sanremo nel 2013 con Tenco e l’anno dopo da ospite con Endrigo. Quest’anno porto in gara un pezzo che ha dentro molte parole e volevo confrontarmi con qualcosa fuori dai confini. Quella è una canzone, anzi un inno all’andare avanti. Con me ci saranno 13 voci del Kingdom Choir di Londra, professionisti che hanno cantato al matrimonio di Harry e Meghan, per dare un colore gospel. La contaminazione con la musica afro è parte della mia vita a tal punto che non la chiamerei nemmeno contaminazione visto che ci sono cresciuto dentro grazie agli ascolti di mamma: mi rappresenta, mi libera».

22 gennaio 2023 (modifica il 7 febbraio 2023 | 15:22)