10 febbraio 2021 - 22:11

Loujain Al Hathloul, l’attivista saudita icona del diritto alla guida libera dopo 1.001 giorni

Svolta legata alle pressioni di Biden. Condannata per reati di terrorismo non potrà viaggiare per 5 anni. Aveva denunciato abusi e torture

di Viviana Mazza

Loujain Al Hathloul, l'attivista saudita icona del diritto alla guida libera dopo 1.001 giorni
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«Loujain è a casa!!!!!!» «A casa dopo 1.001 giorni di prigione». La sorella Lina, che vive a Bruxelles, dà la notizia via Twitter, pubblicando la foto della sua faccia felice. Ora si trova a casa dei genitori in Arabia Saudita. Ciocche di capelli bianchi le striano la lunga chioma nera. Loujain Al Hathloul, 31 anni, sorride dopo 1.001 giorni «di isolamento, scioperi della fame, torture e aggressioni sessuali». A dicembre era stata condannata a cinque anni e otto mesi di carcere per reati di terrorismo, ma l’esecuzione di parte della sentenza era stata sospesa. Il suo rilascio era dunque atteso ed è visto come il risultato della vittoria di Joe Biden a Washington. Il nuovo presidente ha promesso di «riesaminare» il rapporto con i sauditi lamentando che dar loro carta bianca, come ha fatto Trump, ha portato a «politiche disastrose».

Sei anni fa

Sono passati sei anni dal giorno d’inverno in cui la venticinquenne saudita Loujain Al-Hathloul, studi in Canada, laurea in letteratura francese, si coprì i capelli neri con il velo, infilò gli occhiali da sole e, dopo aver annunciato le sue intenzioni ai 228.000 follower su Twitter, si mise al volante partendo da Abu Dhabi con una regolare patente ottenuta negli Emirati. La sua missione: entrare in Arabia Saudita guidando l’auto, per chiedere di concedere finalmente questo diritto alle donne. Al Hathloul passò 73 giorni in detenzione, un’esperienza che aumentò la sua determinazione di attivista femminista. Ma quel che ha fatto più scalpore è stato che sia di nuovo finita in manette nel 2018 mentre il potente principe Mohammad Bin Salman, suo coetaneo, concedeva finalmente la guida dell’auto alle donne. Avvenne alcuni mesi prima dell’assassinio di Jamal Khashoggi, e fu uno dei primi segnali evidenti del doppio volto della nuova Arabia: riforme sociali da una parte, repressione di ogni dissenso dall’altra.

Arrestata negli Emirati

Nel 2018 Al Hathloul aveva parlato a Ginevra davanti alla Commissione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne. A marzo l’hanno arrestata negli Emirati: «Bendata, costretta a salire su un aereo e portata in Arabia Saudita — ci raccontò la sorella Lina — un rapimento». Loujain e altre due attiviste hanno denunciato d’essere state torturate con scariche elettriche, «waterboarding», molestate e minacciate di stupro da uomini che le interrogavano a volto coperto. Nel 2019 le avevano proposto di rimangiarsi quelle accuse in cambio del rilascio, ma ha rifiutato. Un ambasciatore europeo ha detto al Guardian che il caso era chiuso già da un anno ma i suoi avvocati non erano pronti a firmare un accordo in cui si impegnava al silenzio. Fino all’ultimo la corte ha negato le torture.

Libertà incompleta

Altri 16 attivisti (quasi tutte donne) furono arrestati con lei con l’accusa di minare la stabilità del Regno con l’assistenza economica di entità straniere. Diversi di loro sono stati rilasciati, ma restano sotto sorveglianza: vietato usare i social e rilasciare interviste. Lei non potrà viaggiare per 5 anni. Per questo la famiglia sottolinea che «non è libera».

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