10 maggio 2020 - 22:03

Coronavirus, il Regno Unito si divide sulla linea Johnson: dallo «stare a casa» a «stare allerta»

Il primo ministro britannico torna a parlare al Paese e annuncia l’agenda a tappe per uscire dal «lockdown» ma la premier scozzese lo attacca: «Messaggio vago»

di Luigi Ippolito

Coronavirus, il Regno Unito si divide sulla linea Johnson: dallo «stare a casa» a «stare allerta»
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DAL CORRISPONDENTE LONDRA Il Regno Unito va in frantumi sulla Fase 2. Ieri sera, in un discorso televisivo alla nazione, Boris Johnson ha annunciato il progressivo — ma comunque lento e graduale — allentamento del «lockdown»: il messaggio del governo passa da «state a casa» a «state allerta». Tuttavia le altre regioni del Paese non ci stanno: Scozia, Galles e Irlanda del Nord continueranno a chiedere ai propri cittadini di non uscire. E in particolare la premier scozzese Nicola Sturgeon, tenace avversaria di Boris, ha attaccato con durezza la linea del primo ministro, definita «vaga».

Johnson è stato estremamente prudente: la «road map» che ha schizzato, ci ha tenuto a sottolineare, è del tutto condizionale: se il virus rialzasse la testa, si tornerebbe a un pieno «lockdown». Al momento però, ha spiegato, la R (ossia il tasso di diffusione del virus) è fra 0,5 e 0,9 (a seconda delle aree del Paese), dunque sotto la fatidica soglia di 1: il che consente di avviare una timida riapertura.

In primo luogo, già da oggi, chi non può lavorare da casa è «attivamente incoraggiato» a tornare al lavoro: e si tratta innanzitutto dei cantieri e delle fabbriche. Da mercoledì i cittadini avranno sostanziale libertà di spostamento fuori dalle mura di casa, pur nell’osservanza della regola del distanziamento sociale.

Dal primo giugno cominceranno a riaprire i negozi e le scuole (a scaglioni) a partire dalle materne ed elementari. Mentre bisognerà aspettare almeno luglio per la riapertura di pub, ristoranti, cinema e teatri.

Nelle scorse settimane era stata ventilata l’imposizione di una quarantena di due settimane per tutti gli arrivi dall’estero (la Gran Bretagna è infatti l’unico Paese che ha mantenuto le frontiere aperte): ma su questo Johnson è rimasto abbastanza generico.

L’epidemia comunque sta tornando sotto controllo. Il numero dei decessi giornalieri continua a diminuire: ieri ne sono stati registrati solo 269, la cifra più bassa da sei settimane. Quanto a contagi, la Gran Bretagna ha raggiunto l’Italia: a ieri ne erano stati rilevati 219.183, a fronte dei 219.070 del nostro Paese. Quanto a decessi totali, la cifra britannica è più alta, con 31.855 morti rispetto ai nostri 30.560: ma questo dato va rapportato alla popolazione, che in Gran Bretagna è del 10 per cento più numerosa di quella italiana. Quindi la mortalità britannica è più bassa, con 47 decessi ogni 100 mila abitanti, rispetto ai 50 italiani (e ben sotto i 57 spagnoli).

I confronti internazionali restano comunque difficili, perché la raccolta dei dati avviene in modo diverso da Paese a Paese: in Gran Bretagna, ad esempio, conteggiano non solo i decessi in ospedale, ma anche quelli nelle residenze per anziani e nella case private, cosa che altri Paesi non fanno. C’è poi il discorso delle differenze regionali: in Gran Bretagna il virus si è «spalmato» in maniera uniforme in tutto il Paese, mentre in Italia è concentrato in Lombardia, che conta la metà dei decessi totali. Questo vuol dire, ad esempio, che a Milano, fatte le proporzioni con la popolazione complessiva, la mortalità è quasi il doppio di quella di Londra.

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