15 marzo 2019 - 22:08

Nuova Zelanda, il manifesto del killer Brenton Tarrant: guerra solitaria contro l’«invasione»

Gli immigrati e il declino europeo le ossessioni di Brenton Tarrant. Il documento in origine doveva essere un volume di 240 pagine

di Guido Olimpio

Nuova Zelanda, il manifesto del killer Brenton Tarrant: guerra solitaria contro l’«invasione»
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Brenton Tarrant, il terrorista bianco, aveva scritto un manifesto di 240 pagine. Poi, in un impeto di autocritica, le ha cancellate ed ha ricominciato da capo preparando una versione accorciata. Settantaquattro «fogli», sufficienti a spiegare e a provocare contrasti feroci.

Nuova Zelanda, il manifesto del killer Brenton Tarrant: guerra solitaria contro l’«invasione»

L’assassino non si nasconde. «Sono un partigiano che resiste all’invasione di una forza occupante e al genocidio bianco», un eco-fascista, etno-nazionalista. Non prova alcun rimorso e non ha alcun problema a presentare il suo gesto come «terrorismo», ironizza sostenendo che un giorno gli daranno il Nobel. Come altri protagonisti di fatti violenti giustifica l’eccidio, parte di una lotta globale. È un australiano, però insiste sulle sue origini scozzesi e dunque europee. È l’ Europa il perno della sua scelta politica, la nuova trincea da difendere. Passioni accomunate dalla stima per la Cina e Donald Trump. Rivela di aver studiato su internet, «l’unico posto dove trovare verità». Affermazioni considerate da qualche esperto come parole per attirare attenzione. Vero, ma qui ci sono 49 vittime.

I killer di massa americani si preparano, lo stesso fanno alcuni dei seguaci del Califfato. Tarrant racconta la lunga gestazione: tre mesi per mettere a punto l’incursione nelle moschee, preceduto da un percorso iniziato nel 2017. Due i fatti che lo cambiano. La strage a Stoccolma provocata da un terrorista Isis dove muore anche una bambina, Ebba Akerlund. Poi, viaggia in numerosi paesi, arriva in Francia. È la seconda chiave. La sconfitta del Fronte nazionale e la realtà cosmopolita lo sconvolgono. Descrive con toni apocalittici il gran numero di persone d’origine africana o mediorientale, contrappone i «neri» alle croci bianche dei caduti in guerra. Per l’estremista è la prova di come il nemico stia dilagando con la presenza fisica, e facendo tanti figli. La sua ossessione. Interessante che il suo manifesto abbia come titolo The Great Remplacement, un omaggio alla teoria del Grand Remplacement dell’intellettuale di estrema destra francese Renaud Camus, un punto di riferimento di Marine Le Pen. Il concetto di Brenton è chiaro: vogliono rimpiazzare la popolazione autoctona, importano lavoratori a basso costo. Messaggi letti in questi mesi sui social, ascoltati nelle conversazioni tra persone. È la banalizzazione di una crisi accomunata dal desiderio di offrire munizioni a quanti vogliono azzuffarsi su un tema sentito.

Seguendo questo filo, Tarrant fa l’elenco dei nemici, personalità da assassinare. La Merkel colpevole di aver aperto le porte, il presidente turco Erdogan (per allontanare la Turchia dalla Nato), il sindaco di Londra, Sadiq Khan. L’omicida mette le mani avanti, sostiene che sia legittimo uccidere dei bimbi musulmani perché un giorno diventeranno adulti e faranno ancora più figli dei bianchi. Per il killer il pericolo maggiore è rappresentato dagli «invasori disarmati», ossia dai semplici migranti, dai fedeli in preghiera. In quanto — scrive — contro quelli armati puoi mandare un esercito, contro questi puoi fare poco.

Il manifesto è pieno di riferimenti a condottieri del passato, uniti dalla lotta contro i «turchi»in scontri epici. Come a Lepanto. Più importanti i riferimenti recenti. Lui afferma di essere stato influenzato dalla commentatrice della ultra destra americana Candace Owen, una afro-americana. E’ vero o si tratta di una delle esche disseminate nelle carte per creare diatribe? Su un caricatore c’è il nome di Luca Traini, lo sparatore di Macerata. Quindi elenca alcuni estremisti «bianchi», autori di altri eccidi. Dylan Roof, Alexandre Bissonette e ovviamente Andres Breivik, il responsabile del massacro di Utoya, Norvegia. Tarrant giura di non appartenere ad alcuna fazione, ma ammette di aver avuto contatti con i Cavalieri Templari, ossia la stessa organizzazione di Breivik. Le indagini diranno se esistono legami, ma intanto si può ricordare come sia stata l’estrema destra statunitense a lanciare l’azione di cellule senza capi, di lupi solitari. Tattica poi ripresa dal qaedismo.

Gli attentati sono utili per destabilizzare la società, è necessario radicalizzare il linguaggio, bisogna sostenere candidati politici ultrà (anche se la democrazia per lui non è il meglio), serve enfatizzare i contrasti economici, non si deve aver paura di inscenare provocazioni per spingere i musulmani a reagire. Possibile che i jihadisti rispondano con attentati. La molla distruttrice si estende agli Usa: devono essere balcanizzati per mettere fine al crogiolo di razze. Il killer si dilunga sulla scelta dei fucili perché – afferma – è un tema che polarizza il dibattito, porta a contrasti feroci. La logica ricorda quella dello Stato Islamico, c’è il desiderio di perseguire una frattura etnica. Ovviamente Tarrant sa che il suo manifesto diventerà un manuale, ma si preoccupa di stabilire le priorità: prima vinci, poi scrivi la Storia. Riecco il sistema Isis, conta l’azione, per rivendicare c’è tempo. L’assassino australiano chiude dando appuntamento ai seguaci nel Valhalla, il paradiso dei guerrieri. Ognuno ha il suo.

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