13 maggio 2020 - 15:50

Coronavirus, i ventilatori donati da Putin all’Italia in Russia hanno ucciso 6 persone

Mosca aveva inviato in Italia 150 ventilatori polmonari Aventa-M, che sono stati installati a Bergamo e a Milano. Il cui uso è stato sospeso lunedì in tutta la Russia dopo che 6 persone sono morte a causa di incendi scoppiati proprio per questi apparecchi

di Francesco Battistini

Coronavirus, i ventilatori donati da Putin all'Italia in Russia hanno ucciso 6 persone
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Una fiammata, una morte orribile. Il primo caso a Mosca, la sera di sabato scorso: un malato di Covid-19 è attaccato a un ventilatore polmonare nell’ospedale Spasokukotsky, quando all’improvviso l’apparecchio inizia a surriscaldarsi. S’incendia. Lo uccide. La notizia non viene troppo diffusa, per non creare allarme e perché si pensa che il difetto d’una macchina, una soltanto, possa starci.

Ma lunedì la tragedia si ripete alle 6,23 del mattino, nella terapia intensiva della clinica San Giorgio di San Pietroburgo. E stavolta c’è poco da coprire: cinque ricoverati di coronavirus sono intubati coi ventilatori ed ecco, di nuovo, la terribile fiammata. Bruciano vivi. Tutti nello stesso momento. Fumo, urla, panico.

Arrivano i vigili del fuoco, si portano in salvo una quindicina di pazienti del blocco rianimazione. Il reparto, 150 fra medici e infermieri, viene immediatamente evacuato. Ma com’è stato possibile? «Colpa d’un corto circuito», abbozza la prima versione ufficiale. Le analogie con l’incidente di Mosca, però, sono troppe. E bastano poche ore perché un funzionario del governo, Aleksej Anikin, si presenti ai giornalisti e ammetta: «La causa dell’incidente potrebbe essere il surriscaldamento degli apparati di ventilazione polmonari Aventa-M».

Proprio quelli: i respiratori artificiali che Vladimir Putin in marzo, con una telefonata al premier Giuseppe Conte, decise di mandare agli ospedali da campo di Bergamo e di Milano. Le 150 apparecchiature che hanno aiutato la Lombardia a superare la prima emergenza e che, ancora oggi, sono installate o semplicemente stoccate per i pochi pazienti rimasti.

La faccenda è grave e imbarazzante. Secondo le agenzie Tass e Interfax, lunedì sera il Servizio federale di sorveglianza sanitaria (Roszdravnador) ha sospeso subito e in tutto il Paese l’uso dei ventilatori Aventa-M. Questi respiratori escono dagli stabilimenti d’un unico produttore che ha sede negli Urali, la Uralskij Priborostroitelnyi Zavod, ed è controllata dal colosso pubblico Rostec. Stando ad alcune fonti, i sospetti riguarderebbero solo gli apparecchi Aventa-M costruiti in aprile. Ma il timore è che ci sia un difetto di fabbricazione, «stiamo effettuando i controlli sulla sicurezza di tutti i dispositivi in dotazione a Mosca e a San Pietroburgo», ed è per questo che il governo russo non escluderebbe di far ritirare tutti i modelli in circolazione. Avvertendo magari i Paesi, come l’Italia, che hanno ricevuto in dono gli Aventa-M e che grazie a questi apparecchi sono riusciti a fronteggiare la scarsità di respiratori nelle terapie intensive: al momento, nessuna comunicazione risulta che sia stata inviata alle autorità sanitarie in Lombardia.

A Bergamo, nella struttura da campo del Papa Giovanni XXIII, i 29 Aventa-M arrivati dalla Russia sono stati utilizzati fino alla settimana scorsa. Nell’ospedale costruito alla Fiera di Milanoci sono al momento solo tre pazienti attaccati ai ventilatori: «Ma quelli russi non li stiamo usando — spiega un medico —, ci bastano gli altri che avevamo già».

Bianchi e blu, le istruzioni in cirillico. Trasportati con gran clamore e con diciassette cargo atterrati a Milano, a Verona e a Bergamo. Montati alle pareti degli ospedali da campo italiani dagli Alpini e dai militari dell’Armata rossa, le telecamere a riprendere l’evento. «Testati e collaudati prima che entrassero in funzione 24 ore al giorno», spiegano fonti sanitarie della Regione Lombardia. «Apparecchiature che si sono rivelate finora d’altissimo livello», garantisce un rianimatore bergamasco.

I 150 Aventa-M inviati all’Italia, assieme a un centinaio di medici, infermieri ed «esperti in disinfezione» russi, sono stati una grande operazione d’immagine (e un’occasione di critiche e di polemiche, con tanto di minacce ai giornalisti «russofobi») per Mosca. Una donazione, uno scambio di favori, un acquisto?

Il premier Conte aveva difeso la trattativa, condotta in prima persona: sarebbe «una grande offesa per il sottoscritto e per il presidente Putin», era stata la sua risposta a metà marzo, il solo pensare a «condizioni» dietro questo «segno d’amicizia».

Nelle scorse settimane i ventilatori sono stati spediti anche negli Stati Uniti, a pagamento, ma gli ospedali americani non li hanno mai usati e ora li stanno rispedendo al mittente, con la scusa ufficiale che «il voltaggio non era compatibile con quello utilizzato negli Usa».

Che farà l’Italia, adesso? Il console russo a Milano, Alexander Nurizade, non aveva escluso «l’arrivo in Lombardia di nuovi aerei» se ce ne fosse stato ancora bisogno. Un gesto di solidarietà: «Se la casa del vicino va a fuoco — aveva spiegato —, non devo andare a dormire, ma devo correre in suo soccorso». Parole generose. Con quella metafora sul fuoco che oggi, forse, non ripeterebbe.

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