15 marzo 2019 - 22:40

Clima, lo sciopero dei ragazzi e il corteo: «I compiti? Prima la Terra»

Tra i più piccoli in piazza a Roma Un debutto «politico» lontano dai partitiL’entusiasmo dei bambini a fine giornata: «Vogliamo tornare a casa a piedi»

di Aldo Cazzullo

 Il corteo  degli studenti a Roma (Ansa) Il corteo degli studenti a Roma (Ansa)
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«Se invece de drogasse e ‘mbriacasse, ‘sti ggiovani vojono sarva’ er pianeta, me pare ‘na cosa bbona” valuta la nonna che li vede ammucchiarsi sui Fori imperiali. E sebbene l’odore di marijuana che aleggia nei vicoli getti un dubbio su almeno una delle sue affermazioni, si può essere d’accordo con lei.

Prima generazione

La prima generazione del dopoguerra manifestò per Trieste italiana. Poi vennero le piazze del Sessantotto e quelle per l’articolo 18. L’ultima generazione ha il suo battesimo in un corteo globale, per il clima, e infatti i cartelli sono quasi tutti in inglese. Si va dai nove ai diciannove anni. Noi ci siamo messi in viaggio con i più piccoli. Appuntamento alle 8 del mattino in piazza Grecia, al Villaggio Olimpico (leggi anche la cronaca di Giangiacomo Schiavi sul corteo a Milano).

Si prende l’autobus 53 che in mezz’ora sarà a Largo Chigi, poi una passeggiata fino a piazza Venezia. «Villaggio dei bambini» si chiama l’associazione. Ce ne sono almeno trenta, tutti bellissimi: Valentino, Elia, Margherita, Cecilia… La maestra non era d’accordo, si è molto raccomandata di evitare i terroristi islamici. Una mamma ha legato quattro fratelli — Adriano, Alessandro, Valerio, Giulio — con lo spago, per non perderli nella folla: «Ma così sembriamo cagnolini…». Al centro dell’attenzione c’è però Emilie, per una semplice ragione: sua madre Alexandra è svedese (il padre Alessandro è romano), e lei ha conosciuto Greta. Gli altri bambini si fanno raccontare per l’ennesima volta la scena: «Ma davvero l’hai incontrata?». «Davvero. Era il settembre scorso. Stava sul Drottninggatan, la strada che dal Palazzo Reale porta al centro di Stoccolma. Era seduta con il suo cartello, “Sciopero della scuola per il clima”. Abbiamo parlato un poco…».

L’Erode che è in molti di noi

«Siamo tutti Greta Thunberg» dice il gigantesco striscione, «Greta Thunberg sono io» sostiene un altro, «con Greta salviamo il pianeta!» scandisce la folla, e in effetti può apparire un po’ ingenuo il culto per la sedicenne che ha tirato fuori l’Erode che è in molti di noi, compresa l’insospettabile Rita Pavone. Eppure serviva, se non un leader, un simbolo che trovasse le parole a un sentimento condiviso. Qualche genitore cita Obama, ma i figli lo guardano con aria interrogativa, per loro Obama è come per noi Andreotti. Non c’è un insulto in piazza, non c’è uno slogan contro Trump o qualsiasi altro politico, un censore della questura annoterebbe un solo cartello, sorretto da una ragazza: «+bong –smog», sul retro la traduzione libera: «Inquinate di meno, trombate di più». Ci sono invece molti bambini che si prendono per mano e improvvisano girotondi, e ai tempi di Nanni Moretti non erano ancora nati.

Destra e sinistra non c’entrano

Il sole è innaturalmente caldo per una mattina di fine inverno, ma è meglio non dirlo perché alla prima brezza estiva qualcuno si farà beffe del riscaldamento del pianeta, con la stessa sicumera di chi nega la fame nel mondo perché ha appena mangiato un BigMac. Destra e sinistra in questa piazza non c’entrano davvero nulla, a voler cercare una matrice politica si può trovare qualche eco grillina, «basta scrivere male della Raggi!» grida un ciclista, ma non sono i manifestanti a rincorrere i Cinque Stelle, semmai sono loro ad aver cavalcato le paure e le rabbie che emergono qui. Cartelli apocalittici: «Alluvioni, Roma come Venezia, tutti a scuola in gondola!». Altri ovvi: «Credo in Dio più che nei politici». Altri ancora di insopportabile demagogia: «Se il clima fosse una grande banca i governi ricchi l’avrebbero già salvato», magari fosse così semplice. La retorica del «ci stanno rubando il futuro» occhieggia un po’ dappertutto. Eppure l’atmosfera è bella, fresca. È un’iniziazione alla politica, senza bandiere che non siano il tricolore, con ironia autoassolutoria: «Marinare gli accordi di Parigi è peggio che marinare la scuola»; «I compiti possono aspettare, la Terra no». Magliette di Zaniolo, di Ronaldo, di Insigne. Poliziotti sul furgone con il motore acceso: «Spegnete, che inquinate!» li ammonisce una mamma severa, e loro eseguono, spaventati. Volantini ammoniscono che per ogni chilo di carne servono 15 mila litri d’acqua («non saranno 15?» «No, c’è scritto proprio 15 mila». «Maddai! Esagerati!»). Due adolescenti si scambiano un bacio che ha l’aria di essere il primo.

«Ci mettiamo due ore»

I bambini del Villaggio olimpico in piena euforia ambientalista vogliono tornare a casa a piedi, «guardate che ci mettiamo due ore», ma l’aria è di ottimismo: «Winter is not coming», non è come nel Trono di Spade, l’inverno non sta arrivando. Ludovico, undici anni, è invece indignato: «Non ci potete lasciare un pianeta così sporco!». In piazza del Popolo i ragazzini incrociano gli operai della manifestazione per sbloccare i cantieri. «Voi adulti comportatevi come tali, così potrò diventarlo anch’io» dice un cartello, chiaramente scritto da un papà. «Il clima sta cambiando, perché noi no?» si chiede Pietro, che invece è un ragazzino. «Ci avete rotto i polmoni» è lo striscione ormai celebre che è piaciuto a Giampiero Mughini, uno dei pochi che ha «fatto il Sessantotto» e ha avuto per questo movimento parole critiche ma non di stroncatura preventiva. Certo che questi ragazzi sono figli del benessere, sono pure andati nel panico quando hanno scoperto che se c’è tanta gente tutta insieme i cellulari non prendono, ma la loro paura non è infondata, la loro speranza neppure. Ogni generazione che è andata in piazza pensa che quella successiva non abbia ragione di farlo, ma l’ultimo cartello a sfilare — «Per un mondo migliore» — esprime tutta l’innocenza, a volte velleitaria, a volte costruttiva, che segna l’ingresso in scena di una nuova generazione: la nuova, non l’ultima.

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